martedì 31 dicembre 2013

Rapidi bilanci del 2013

Persone ritrovate e perse | 1
Anni di attesa | 5
Persone ritenute fondamentali, di quelle che pensi "potrò sempre contare su loro", e perse | 3
Case vissute come casa | 2
Città vissute come casa | 1
Volte che ho desiderato cambiare casa e città | n
Corteggiatori | 2
Distanze totali tra me e i corteggiatori | 1.359 km
Conteggiati | 1
Innamoramenti | 1
Delusioni | 1
Dimensioni della delusione | eccessive
Volte che ho desiderato fare il salto | diverse
Volte che ho desiderato fuggire | molte
Periodi di psicodown | 3 mesi almeno
Pubblicazioni scritte | n
Pubblicazioni pubblicate | 1
Volte che ho veramente desiderato lasciare il dottorato | 3
Volte che ho veramente desiderato lasciare la borsa di dottorato | più di 10
Volte che ho veramente provato ad organizzare il periodo abroad | zero
Bici avute | 2
Bici rubate | 2
Minuti di percorso a piedi giornalieri | circa 50
Scarpe nuove acquistate | 2 paia
Piani futuri aggiunti all'elenco | 3
Anni di vita di Antigone | 6 e mezzo
Gusti di gelato mai assaggiati prima | 5
Capelli persi | uncountable
Libri letti | pochi
Ovuli persi | 5
Kg presi | 8
Amicizie nuove | 3
Amicizie rafforzate | 1
Intenzioni di inizio anno | assai
Intenzioni divenute azioni | poche, alcune ottime, altre superflue
Intenzioni di fine anno | 3
Forze per dirmi "si comincia" e portare a compimento le intenzioni | attualmente insufficienti
Tempo perso | ...




mercoledì 25 dicembre 2013

IL CANTASTORIE | Brindisi senza senso in dialetto gioese-tarantino

Nu gjurn decdemm cu l'amisc d sce rrubbà l' per'
Diss quidd senza pjett "Anchjemsc u pjett"
Diss quidd senza jamm "Currimsc rret"
Diss quidd senza vrazz "Pigghiaml a p'tr'scjat"

"Comm'a m'ha ffa pp frisc'r u lepre ca na scapp't?"
"Beh, sciam a quedda massaria!"

Tup tup
Risponne quidd ca non g ste "Cce vulit'acchiann?"
"Vulim'acchiann na pignat pp frisc'r u lepre ca n'ha scappat"
"Sciat a qued'avann'
Stonn ddo rott' e na squasciat'
Pigghjate la squasciat' e friscit u lepre ca v'ha scapp't'"

Quidd ca s mangiò a carne stett buen
Quidd ca s mangiò u brod stette buenariedd
Quidd ca s mangiò l'ossr cadì mal't'

"Comm'a m'ha ffa a purtà u mal't' alla città?"
"Sciam n'otà vota a queda masseria"

Tup tup
Risponne quidd ca non c' stava apprima
"Ccè vulit'acchiann'?"
"Vulim nu ciuccio pp purtà u mal't' alla città"
"Sciat a queda vanna
Ni stonn ddu muert e nnu scurciat
Pigghjat u scurciat e purtat lu mal't' alla città"

"Jolz't ca jolz't ciucciariello mij'
Ca quann arriv'm alla città
tanta paglia e biada t'agghja ddà"

U ciucc s'joz senza capir ragione
Brindisi faccio a questa conversazione


domenica 22 dicembre 2013

Mi manca l'Intercity Roma-Taranto-Roma

Il viaggio in treno è quanto di più romantico e nostalgico abiti i miei pensieri in questi giorni.
Ho passato anni tra la stazione Termini di Roma e la stazione di Taranto, con rare capatine a Bari, periodi lunghi di percorrenze verso Firenze dopo brevi periodi di direzioni varie, tra Perugia, Milano, Pescara, prima dell'arrivo di Ryanair e la concorrenza di BlaBlaCar.
Ma resta l'Intercity il mio preferito, che credo non esista più. Solo su questo tipo di convoglio vale la pena di scegliere il posto finestrino, nel verso in cui il treno viaggia, e guardare quello che ti aspetta e quello che ti stai per lasciare alle spalle.
Mi manca molto quel treno, la voglia non quantificabile e difficilmente gestibile di partire, le quasi sette ore di soporifero stare nel proprio scompartimento, alzarsi a volte e ritrovarsi a tentare di guardare  fuori da un finestrino sporco l'altro lato del percorso, in piedi, barcollando.
Mi manca la triste gioia della ripartenza, la domenica pomeriggio, treno delle 14 possibilmente, altrimenti ce n'era uno alle 15,30, ma a me piaceva il percorso del treno delle 14. Mi piaceva quel treno, le stazioni in cui fermava, la gente che vi saliva. 
Mi manca l'intercity Roma-Taranto e quello Taranto-Roma, a volte troppo caldo e occluso e sonnolento e approssimativo, ma dall'odore familiare, dall'andamento cullante, dalla consistenza umana, dallo sguardo melanconico come il mio, su mezza Italia, su un tratto di Sud, su un pezzo di bellezza.

Tra i propositi per l'anno nuovo credo comparirà 'viaggi in treno'.
Viaggi, plurale.
Magari in direzione opposta. 

venerdì 29 novembre 2013

SPERARE vs CREDERE, aka il valore del PER SEMPRE

"Per me il termine per sempre non esiste in generale. 
È tutto talmente mutevole..."

Così ha avuto inizio una lunga conversazione su whatsapp sul senso del "per sempre".
Non è stata solo una chattata tra amiche: ci pensavo prima, c'ho pensato dopo, ci penso tutt'ora.
Più spesso mi capitano degli "ending", più mi convinco che il "per sempre" abbia un senso. Proprio io che potrei dissertare per ore contro l'uso dei "mai" e dei "sempre"...
Ma il "per sempre" è un'altra storia.

Il "per sempre" indica un inizio e l'assenza di una fine, almeno nel momento in cui l'inizio ha inizio. Indica un "crederci in quel momento", un crederci fortemente tanto da scomodare il "sempre".
Sono convinta che certe decisioni bisogna pensarle come se fossero per sempre, altrimenti non avrebbero senso. Non è una questione di coerenza (anche se credo che la coerenza sia importante nei limiti della intelligenza e della capacità di crescere e migliorarsi). Ma non è per quello.
È il valore che ha una scelta quando decidi di rinunciare a tutto il resto, a tutte le alternative, una volta per tutte. Parlo del valore che si decide di dare ad una decisione. È come sposarsi. Se ci si sposa pensando che non sia per sempre, perché sposarsi?
Mi si obietterà che è un esempio poco coerente con i tempi: "al giorno d'oggi chi si sposa più?".
Ma io al "per sempre" ci credo, e non credo nei tempi.
Io dai tempi non vorrei farmi cambiare, e cerco di non farmi cambiare.
"I tempi" sono un alibi per decisioni superficiali e più facili.
"I tempi" sono la maschera di chi ha PAURA.
Io i tempi li voglio cambiare.

Io credo in me.
Io non ho paura.

A Ballarò, l'altro ieri, ho sentito un ospite di cui ho dimenticato (o cancellato?) il nome, il quale ospite sosteneva l'innovativa opinione che "ai giovani bisogna restituire la speranza". Al sentire i suoni dell'ultima parola, ho immediatamente spento il tablet da cui guardavo la trasmissione e twittato sul profilo di Ballarò "E BASTA CON QUESTA SPERANZA!!!".
Sì, basta con questa speranza.
Ce ne facciamo un baffo della speranza!
Io non voglio sperare!
Io odio la speranza!!!
Io voglio avere gli strumenti per dimostrare che tutti possono credere in me.
Non voglio che si speri in me.
Io voglio FIDUCIA.
Io voglio che mi si dia fiducia.
Io voglio LEGITTIMAZIONE.
Io voglio essere legittimata.
Io non voglio più sentirmi costantemente sotto esame, come se avessi sempre qualcosa da dimostrare senza nessun reale strumento per rendere concrete le mie potenzialità e capacità. Non voglio dovermi guadagnare speranza o, peggio, meritare speranza. Chi mi valuta sulla base del nulla, sulla base di pregiudizi, di idee pre-confezionate sulla mia generazione, di frasi fatte, di indicatori superati (come chi ancora si prende il diritto di valutarmi), del mio CV che di me non dice più nulla, si prenda anche la RESPONSABILITA' delle sue valutazioni.

Io sono una risorsa preziosa e sottoutilizzata dal sistema e dal Paese...
...che non credono in me e che, al massimo, finiscono per fornirmi (o per ambire a fornirmi) speranze (o illusioni).

Io delle speranze non me ne faccio più nulla.
Le speranze uccidono la fiducia.
Io voglio fiducia.
Io voglio che si creda in me, nelle mie potenzialità, nelle mie idee, nel contributo che posso dare al futuro, alla società, all'umanità, o anche alla mia piccolissima vita, ovvero tutto quello in cui io credo fortemente. Ragionevolmente, è una condizione necessaria e non sufficiente. Ma è necessaria. Io ritengo sia necessaria.
Sì, la speranza cestiniamola e ricominciamo a credere di essere all'altezza e in grado di un "per sempre".

Questo è il grosso problema della mia generazione.
Sì, questo.
Non credere in se stessi.
Figuriamoci esserne convinti.
Figuriamoci convincere altri.
E, quindi, farsi cambiare dai "tempi".
Diventare precari negli affetti, nelle relazioni, negli interessi, nelle idee, nell'identità, nel lavoro e quindi nel contributo che la nostra effimera vita dà al "per sempre" del mondo. Avere PAURA.


Io no.
Io voglio cambiare.
Io sono il cambiamento.

Ripetetevelo come un mantra.
E smettetela di piangervi addosso.





lunedì 18 novembre 2013

Il diritto all'oblio

Nel testamento biologico ho dovuto esplicitare la mia volontà ad essere cancellata immediatamente da Facebook alla mia morte. Ma forse non basta...

L'altro ieri, in preda al delirio da controllo costante della mia persona, ho digitato nome + cognome su Google. Con mia triste sorpresa, ma nemmeno tanta, ho trovato una quantità di mie foto, mie, di cui non ricordavo nemmeno la presenza su internet. Certo che non lo ricordavo: a quei siti io non ho mai deliberatamente o coscientemente deciso di iscrivermi. Si trattava per lo più di "ok" che avevo dimenticato di "de-spuntare" o che non avevo affatto notato e che si erano trasformati in adesione più o meno volontarie.
Eccomi su Picasa, direttamente collegata al mio account gmail, con una ordinata raccolta di mie foto prese da tutti i siti sui quali mi son registrata (ma anche cancellata) con l'indirizzo gmail.
Eccomi sul sito di Gazzettadellosport.it cui risulto registrata per diosolosa quale motivo.
Eccomi sul sito di un ministero, con tanto di mio codice fiscale in chiaro, macché in chiaro, ddeppiù: è l'URL abbinato al mio profilo che, chissà come, è vuoto!!!
Eccomi col profilo di Google+ che diosolosa (sì, sempre e solo lui) quante volte ho cancellato o, a questo punto, credevo di aver cancellato!
Ecco che poi mi scopro registrata a Viadin che non ho idea di cosa sia, insieme a Yatedo. Così scopro che "this profile has been generated based on pulicly available information all around the web", anche informazioni obsolete, che non esistono più perché da me rimosse, anche quelle che fino al 2007 ancora non proteggevo come avrei dovuto, non consapevole dei rischi...e che non ho idea di come cancellare da questi collettori di informazioni non autorizzati che mi invitano a tenere sotto controllo la mia reputazione online... rabbia! Pensate che ci sono anche servizi online (a pagamento, ovviamente) per ripulire la tua e-reputation. Chiaro? Da un lato raccolgono tutti il possibile online e rendono queste raccolte di informazioni disponibili a tutta la rete e poi vi offrono di nascondere le stesse informazioni che hanno scovato all around the web... rabbiaaaaa!!!
Comunque, continuiamo il surfing...
Eccomi su Pupa4Fan dove mi son registrata per far partecipare ad un concorso di make-up una mia amica e dove compare una foto di me truccatissima stile anni-boh che io vorrei tenere (sol)tanto per le risate tra amici e non tra tutti...profilo che (attenzione!) non posso cancellare perché creato da Facebook cui non sono più registrata.
E qui parte il loop... 
Perché non posso cancellarmi se non dal profilo FB, ma io il profilo FB non l'ho congelato ma cancellato, e farne uno ex-novo non servirebbe a nulla (oltre che essere contro la mia volontà di non apparire costantemente sulla piazza di FB). Quindi ne consegue che non posso cancellarmi con procedure normali, quelle più "snelle" (che già portano via del tempo che potrei usare più produttivamente).

Morale della favola?
Una volta che sei nella rete, non puoi più nasconderti.
Lotta aperta ai sociopatici come me.
Ve tocca dde sta in piazza, come ar paesello, dove tutti sanno tutto di tutti.
E se non lo sanno, se lo inventano, lo deduco, raccolgono every available information da ogni fonte possibile, all around. E da quello che è disponibile si ricostruisce la tua immagine, la tua storia, la tua personalità.

A proposito, vado a fare un lifting online: tolgo qualche ruga qua e là, ogni dettaglio che fa di me una persona vera sulla rete, lascio solo l'apparenza, così come deve essere... 
 


Ps. Un giorno dopo la mia ricerca su Google, mi giunge addirittura una email, ovviamente sull'indirizzo gmail...


martedì 5 novembre 2013

Il giornalismo scientifico de no'artri | Il caso dell'olivo che si dissecca velocemente

Sulla pagina FB dell'Associazione di promozione sociale "Fucarazza", io, l'uomo che non esiste e un contadino altrettando invisibile sui social network, abbiamo cercato di mettere in ordine le informazioni reperite su internet riguardo il caso del "COMPLESSO DEL DISSECCAMENTO VELOCE DELL'OLIVO" che sta colpendo diversi ettari dell'area jonica della provincia leccese, destando preoccupazioni e allarmismi.

Trovate qui la nostra sintesi per far chiarezza nelle nostre teste e proporre qualche domanda aperta.

Aggiungo una mia considerazione su come si fa il giornalismo scientifico in Italia, non solo in Puglia, giacché la notizia è stata ripresa da Il Fatto Quotidiano, per esempio, e da quotidiani online di varia natura, soprattutto di approfondimento sul tema "ambiente".
Ne parlavo sul caso Taranto, tempo fa, in un pezzo sulla comunicazione politica e ambientale, e ripropongo la stessa riflessione per il caso "batterio killer e olivi disseccati".
Il contesto è sempre quello di una profonda incertezza scientifica.
Ma c'è un'assenza di risposte tempestive "dall'alto" in questo caso? Pare di no, pare che da almeno tre anni si conosca questa fitopatia e che ancora non si sia riusciti ad accertarne le cause (eh sì, forse non esiste un batterio killer...) e che siano stati organizzati workshop per informare i contadini e gli imprenditori agricoli. Azioni insufficienti e cadute nel vuoto.
Perché?
Perché parte delle colture interessate non sono sottoposte a cure costanti e perché si riducono al minimo gli investimenti?
Perché non vi è un interesse per le produzioni di qualità e, quindi, si lascia morire una pianta non abbastanza produttiva, non ci si accolla costi preventivi per evitare il peggio finché non si manifesta e poi quando si manifesta si chiede l'intervento esterno?
Perché non vi sono finanziamenti alla ricerca per arrivare fino in fondo con le attività di epidemiologia ambientale, se anche questo è il suo campo?
Il contesto è sempre quello di una profonda incertezza scientifica.
E la risposta dei media non si fa aspettare, dalla drammatizzazione estrema che vede questo batterio killer devastare i campi pugliesi fino ad essiccare l'ultima piantina, alle teorie complottiste più fantasiose e pericolose che vedono il batterio killer come un'arma biologica di chi non può più competere sul mercato con i nostri prodotti...

Insomma... c'è in giro molto "giornalismo scientifico de no'artri", di chi fa politica con i fatti, di chi non li conosce e non approfondisce le fonti, di chi invece che fare divulgazione fa congetture... sta anche a chi legge avere un approccio critico e farsi delle domande...

lunedì 4 novembre 2013

L'amore ai tempi di BlaBlaCar

"E tu perché viaggi?" "Ho la ragazza a Trento"
"E tu perché viaggi?" "Ho il ragazzo a Grassano"
"E tu perché viaggi?" "Ho la ragazza a Genzano"

Ogni passaggio preso o dato è stato un viaggio attraverso storie, per lo più d'amore.
Storie a distanza, che l'uso condiviso di un'auto rende più vicine, più concrete.
La mia domanda, dopo il "perché viaggi", resta sempre "E' possibile un amore a distanza?".
Raccoglierò, viaggio dopo viaggio, attraverso le storie di questo pezzo d'Italia una sintesi di ciò che si pensa o quanto si crede nell'amore...ai tempi di BlaBlaCar.
Un pezzo d'Italia fatto di persone che hanno fiducia nel prossimo, che fanno del prossimo un compagno di viaggio e un collaboratore nella costruzione di storie di vita possibili, in cui la distanza si riduce anche grazie al prossimo, a quello sconosciuto portatore di storie che accompagna, ascolta, parla, condivide il tempo di qualche centinaio di chilometri con un altro sconosciuto.
Un pezzo d'Italia che crede nell'altro, e nell'amore.



_______ 1 ________ E tu ci credi all'amore a distanza?
"No, sai, scusa la domanda personale... Sono stata invadete. No, ma sai, è perché anche io ho una storia a distanza, anzi la vorrei. No, cioè, non è che la vorrei a distanza! E' la storia che vorrei. Ma per ora non può che essere a distanza... E cerco di capire, confrontandomi con altre persone, se è possibile... Tu... tu che ne pensi?"
"Ehehehe è una domanda difficile... soprattutto per uno che si occupa di scienze matematiche e che, forse, tende a razionalizzare molto. Io e Lisa stiamo insieme da tre anni. Abbiamo deciso di provare a stare insieme quando già la mia application per il dottorato era stata accettata... in Austria. Certo, Trento-Austria non era tanto distante, e io ho passato lunghi mesi a Trento, e Lisa è venuta a trovarmi spesso in Austria. La distanza c'era, ma era relativa... Ci si vedeva abbastanza spesso. Non che, quando ero in Austria, non ci fossero state tentazioni altrove. Spesso ho avuto l'occasione di avere storie, appunto occasionali. Ma ogni volta mi son chiesto "Vale la pena mettere in discussione una relazione che mi fa stare bene?" e mi rispondevo che no, non ne valeva la pena. Poi, ci siam fatti un discorso da adulti, Lisa ed io: ci piacevamo e ci volevamo bene e, quando abbiamo deciso di stare insieme a distanza, ci siamo detti che potevano provarci, che finché stavamo bene insieme sarebbe durata, ma nel momento in cui uno solo dei due avesse cominciato a star male ci saremmo parlati con franchezza e avremmo provato a risolvere insieme, magari tornando piano ad essere amici o ex-cordiali. In fondo ci vogliamo molto bene e non vedo perché escludere dalla mia vita una persona che ne ha fatto parte in modo così importante. Avevamo deciso di andare a convivere dopo il mio dottorato, sai? Ma poi a Trento non ho trovato lavoro e non mi andava di rinunciare a questa occupazione qui. Abbiamo pensato che da disoccupato depresso sarei stato male e comunque la nostra storia ne avrebbe risentito. Per cui, ragionevolmente, abbiamo cambiato i nostri progetti. Flessibili come il nostro lavoro e la nostra vita. Per cui, eccomi qui a fare il pendolare. Un weekend torno io a Trento, un weekend è Lisa che viene a trovare me. Per ora va bene. Stiamo bene. Finché è così, va bene."
"Insomma... fai un'analisi molto razionale. Da adulto."
"Sì, certo. Non si può più vivere l'amore con gli stati febbrili adolescenziali, non a distanza e non alla nostra età."
"Quanti anni hai?"
"Ventotto."
"Capisco."


_______ 2 ________ E tu ci credi all'amore a distanza?
"A volte sì, a volte no... Con Massimo abbiamo deciso di riprovarci da poco..."
"Riprovarci?"
"Sì, siamo stati insieme tanto tempo e tante volte. Quando ho cambiato lavoro, ho avuto un momento difficile e non abbiamo retto. Lui non ha retto, io ero nervosa e intrattabile. Ora che da qualche mese sono stata confermata con questa nuova occupazione, dopo il salto nel vuoto, ci siamo riavvicinati..."
"Salto nel vuoto perché lasciavi un lavoro con un buon contratto per uno incerto?"
"Eh, sì..."
"Sei stata coraggiosa, brava!"
"Eheheh, grazie... Ma lui non è stato coraggioso quanto me, o meglio, non ha saputo sostenermi nel momento più difficile. È facile stare insieme ad una persona quando sta bene e dà tanto...e poi lasciarla quando bisogna darle qualcosa..."
"Ma tu l'hai perdonato..."
"Non lo so. È che da quando mi sono innamorata di lui, anche nei lunghi periodi di lontananza, non sono mai riuscita ad amare un altro allo stesso modo. Massimo è Massimo. Quello che provo per lui è unico, e nemmeno gli anni riescono a cambiare questo debole che ho per lui. E credo che anche per lui sia lo stesso."
"Da quanto tempo?"
"Sono undici anni più o meno che ci conosciamo. Insieme di fatto non so quanto siamo stati insieme. Ora son circa sette mesi che siamo di nuovo una coppia, anche se a distanza, andando su e giù per l'Italia, dall'Emilia alla Basilicata... Ma alla fine non abbiamo mai smesso di far parte l'uno della vita dell'altro..."
"E tu quanti anni hai?"
"Trentadue"
"Capisco"



domenica 3 novembre 2013

Che Futuro! lunario dell'innovazione de Il Sole 24 Ore - E-Health: quando è il paziente a coinvolgere il medico

Qualche risultato preliminare di un'indagine commissionata dalla Regione Toscana, i cui dati ho avuto l'onore e la fortuna di poter usare insieme alla ricercatrice Sara Barsanti per rispondere alla domanda di ricerca: "L'uso di internet per motivi di salute (cioè l'e-health) che influenza ha sul rapporto tra paziente e medico di medicina generale?".
Si tratta di risultati preliminari, ma credo sia interessante un dato: i pazienti e-health user condividono con il proprio medico le informazioni che reperiscono su internet, chiedendo quindi pareri o discutendone, se si sentono a loro volta soddisfatti di quanto il medico li coinvolga normalmente nelle decisioni che riguardano la sua salute.
In sintesi, il ruolo del medico resta centrale nella definizione del rapporto con il paziente, anche quando gli si offra uno strumento aggiuntivo di empowerment.

A voi la lettura di E-Health: quando è il paziente a coinvolgere il medico.

venerdì 13 settembre 2013

Di responsabilità, sapere ed esternalità | Ilva, Riva, i magistrati e Il Sole 24 Ore

Caro dottor Paolo Bricco,
sa come funziona la legge?

Resto stupita, da economista che ha lavorato accanto ad epidemiologi nel leggere con quanta leggerezza è stata semplificata la questione Ilva di Taranto su Il Sole 24 Ore di oggi, venerdì 13 settembre 2013.

Perché mai, mi chiedo, un magistrato dovrebbe sapere come funziona un'impresa?

Non dovrebbe forse essere l'imprenditore a sapere come si gestisce un'impresa? Ad avere la responsabilità di saper gestire la propria impresa?
E la responsabilità é quella che un imprenditore ha (o che dovrebbe avere) nei confronti dell'impresa stessa in tutte le sue componenti interne ed esterne (dagli operai ai fornitori, ai clienti), ma anche della comunità in cui opera, conoscendo e rispettando tutte le norme che regolano i rapporti tra questi diversi attori, norme sia "formali" che "informali".

Forse che il signor Riva, meglio i signori Riva abbiano ignorato per anni queste responsabilità? Forse che si siano arricciti alle spese della loro stessa impresa, dei propri operai (ricordiamo gli eventi legati alla Palazzina Laf sempre dello stabilimento tarantino o contiamo le morti bianche o gli incidenti o gli operai malati...), dei fornitori resi totalmente dipendenti dai loro affari grazie alla collaborazione di inetti decisori pubblici e sindacalisti silenti (o peggio), del territorio profondamente contaminato, della comunità locale malata e non più ripagata per questo costo ormai insostenibile?

Come si può accusare un giudice di non interessarsi del funzionamento di un'impresa quando è l'imprenditore stesso a non preoccuparsene? Riva ha comunicato all'esterno l'immagine "classica" dell'homo oeconomicus, il cui beneficio personale è il fine di ogni decisione...sia anche quella di mettere a rischio una delle n imprese del proprio carnet, riuscendo a gofiare abbastanza le casse delle altre con la sorella "povera" ma ben "fortificata".
Forse, infatti, che il gruppo Riva si sia sentito sicuro della sua posizione da quasi monopolista, per il suo network di protettori (inclusi gli operai aziendalisti che da quel lavoro dipendono e che non sanno rendersi autonomi), per il potere negoziale che ha presso decisori pubblici anche quando questi ultimi hanno il sale in zucca, per la forza del patrimonio cumulato in anni e anni di mancati investimenti sugli impianti e di adeguamenti alle normative (e poi dirottato)?

Mi si dica se questo è far funzionare un'impresa con coscienza, con... sapienza.

I giudici stanno stabilendo le responsabilità dei Riva e se l'unico modo di fermare chi continua ad agire ignorando la legge é sequestrare i prodotti di tale agire, che sia. Non è certo il giudice che deve preoccuparsi degli affari dei Riva. Il giudice può e deve solo preoccuparsi di far rispettare la legge.
Alle altre questioni devono pensarci gli altri attori che costituiscono il tessuto sociale ed economico: i decisori pubblici, i cittadini, gli enti di ricerca, gli stessi imprenditori. Ognuno ha una responsabilità nel funzionamento della "cosa pubblica" e molti, troppi di questi soggetti hanno ignorato queste loro responsabilità... Inclusa gran parte della cittadinanza.

Accusare ora i magistrati, che stanno facendo il loro lavoro, di fare il loro lavoro mi sembra un non-sense, oltre che potenzialmente aggravante il conflitto sociale già esistente. Non solo nel tarantino tra Tarantini (operai vs ambientalisti, malati vs politici, operai vs magistrati, ambientalisti vs ricercatori), non solo in Puglia tra alto Salento e resto della Regione, ma anche tra Italiani del Nord e Italiani del Sud (tra Tarantini e operai delle altre imprese del gruppo Riva).


Anche queste sono esternalità negative che un giornalista dovrebbe tenere in considerazione nel lasciare dei commenti sui fatti... o no?





martedì 10 settembre 2013

Che Futuro! lunario dell'innovazione de Il Sole 24 Ore - Medici e tecnofobia

Un po' in sordina, il 23 agosto scorso, è apparso un mio contributo leggero sul tema "medici e tecnofobia". Racconto i miei cinque giorni di conferenza dell'Organizzazione Mondiale dei Medici di Medicina Generale che si è tenuta a Praga a giugno. Con qualche riflessione su come gli esiti di quella esperienza portino delle conseguenze in termini di gestione dell'innovazione del e nel sistema sanitario.

A voi la lettura di Cari medici di famiglia, la tecnofobia fa male alla salute. Pubblica.

domenica 1 settembre 2013

Le nuove malattie professionali _ Sindrome del muratore da quattro soldi

Il muratore precario soffre di norma di diversi problemi di salute, imputabili, in parte, alle abitudini lavorative e ai materiali costruttivi utilizzati e, in altra parte, allo stato di assoluta instabilità del suo lavoro.

Nella prima categoria rientrano le stesse patologie da cui è generalmente affetto il muratore anche non precario, quali mal di schiena e dolori articolari diffusi, allergie, asma e malattie respiratorie. La prima grande differenza rispetto al manovale non precario risiede nelle possibilità di prevenzione e cura del manovale precario. Sul versanto preventivo, quest'ultimo, condotto in cantieri che non conosce per fare cose per le quali non ha avuto una formazione specifica, tantomeno un briefing di qualche minuto, e trovandosi nei suddetti sconosciuti cantieri con qualifica e autorizzazione pari se non inferiore a quella di qualsiasi anziano accorso a seguire i lavori, non ha a sua disposizione attrezzature di lavoro adeguate concepite per scopi di protezione e prevenzione, oppure pur possedendole non sa nemmeno come usarle. Sul versante cura, essendo pagato alla giornata secondo una tariffa che va da i tre e ai cinque euro all'ora e spendedoli spesso poi in larga parte per l'acquisto di sigarette, detergenti per il viso e magliette aderenti (con la speranza di avere lo stesso successo del manovale della Coca-Cola), non è in grado di accedere a cure adeguate al manifestarsi delle malattie, per cui tende a far cronicizzare il problema.

Della seconda categoria fanno parte quei disturbi che si amplificano a causa del continuo cambiamento di cantiere e di materiali per il lavoro, in parte già anticipati. Infatti, il muratore precario non sempre "ha un mestiere" da rivendere sul mercato del lavoro, piuttosto due forti braccia da offrire la mattina presto al miglior offerente come accade lungo via Togliatti nel tratto tra la Casilina e la Prenestina, a Roma, pressappoco ad ogni alba. In queste condizione, non sempre affiancato a muratori esperti, è per lo più condotto in cantieri sconosciuti con altri muratori precari come lui o altri manovali improvvisati, in una babele di lingue e maestranze e abitudini costruttive, dove se risulta difficile imparare un mestiere (secondo la tipologia della trasmissione dal mastro all'apprendista), è del tutto impossibile liberarsi dalle braccia tentacolari delle ditte edili che a volte lo fanno lavorare ma, comunque, non lo assumono, sempre gli chiedono di usare prodotti di scarsa qualità.
Ed è questo l'altro fattore determinante, in termini epidemiologici.
Il continuo cambiamento di materiali ma la costante scarsità della loro qualità, nonché la presenza di materiali non propriamente sicuri e, a volte, adatti più alla costruzione di un castello in spiaggia che di un edificio in città, porta il muratore precario a soffrire di allergie da calce, da colla, da polveri, da tufo, da fieno, e ad ogni altra cosa che respira/aspira, ad esclusione delle sigarette. Ciononostante il manovale si sniffa continuamente il braccio e le polveri su di esso presenti, già amalgamate insieme da qualche goccia di sudore che gli imperlava la fronte e asportata con l'usuale gesto: questa abitudine contribuisce ad accelerare le reazioni chimiche tra i vari contaminanti e determinanti di malattia e, di conseguenza, facilita l'unione sistemica dei sintomi in un'unica sindrome. Sempre, in media, da quattro soldi.

domenica 4 agosto 2013

in 9 mesi

diverse le mie ubriacature, 1 con notte passata a sboccare, la prima notte a Pisa, la prima notte nella casa nuova, la prima notte coi miei nuovi coinquilini.
200 i metriquadri della casa che ho sentito casa a pisa e che sto lasciando.
2 i coinquilini con cui è cominciata la mia vita a pisa e una bella convivenza, che ho perso con la casa.
1 l'ex-coinquilino che ritrovo e che tornerà ad essere coinquilino, con mary, il migliore della mia vita di convivenze.
4 i viaggi all'estero, a utrecht/eindhoven, a fulda/francoforte, a budapest, a praga.
1 sola la volta in cui mi sono innamorata.
2 le miei bici, 1 che amavo e che mi è stata rubata, 1 dde mmerda che odio e che nessuno ruberà perché è dde mmerda.
2 le passeggiate lunghe in bici, una fino al parco di san rossore e poi a marina di pisa, una fino a calafuria.
8 le volte che sono andata a correre.
1 nuova amica, 1 amica persa, 1 comitiva nuova, 1 comitiva spappolata.
7 volte al mare.
3 i concerti.
1 paper scritto, 9 abstract in cantiere.
3 cene a casa.
3 le notti che Antigone ha passato per strada prima che la ritrovassi.
12 le telefonate ricevute da chi mi ha aiutata a trovarla, di cui 2 inviti a cena da parte di altrettante gattare.
1 nuovo veterinario dolce e affascinante, 3 gocce in ogni orecchio, 15 i giorni di cura.
4 le gelaterie dove ho trovato buoni gelati senza latte, 1 mi ha concesso di assaggiare per la prima volta il gelato alla nocciola.
4 i viaggi con blablacar.
3 le cassettiere, 3 gli armadi.
6 i kg presi e 3 i kg persi.
15 i centimetri di capelli tagliati, in alcuni punti 30.
13 libri comprati, di cui 7 usati, 5 libri in corso di lettura, 1 solo libro finito, innumerevoli articoli e libri di testo letti leggiucchiati e sfogliati.
37 le copie di Internazionale che girano ancora per casa, 11 dei quali letti interamente.
3 film visti al cinema. 5 in streaming.
2 serie finite.
8 ovuli persi.

1 trasloco da fare






mercoledì 31 luglio 2013

Le nuove malattie professionali _ Braccia molli, ma anche piedi, del bracciante stagionale


Il bracciante stagionale soffre di una malattia congenita, probabilmente provocata dagli effetti della peronòspora con la quale siano entrati in contatto genitori, amici, parenti o amici degli amici dei genitori dei parenti del bracciante in età fetale di quest'ultimo.
Questa malattia dà al bracciante, nonostante sia appunto un bracciante, un'autonomia nell'uso delle braccia di sole nove ore, al massimo dieci, considerando per giunta una pausa di mezz'ora dopo la quarta ora, se c'è. A causa di questo problema congenito, generalmente il bracciante non riesce nemmeno a stare in piedi senza fatica e lamenti per più di dieci ore, sempre nelle condizioni di cui sopra.

Per questi motivi, si consiglia di seguire le prescrizioni del datore di lavoro il quale cerca di aiutare disinteressatamente lo stagionale a superare i proprii limiti, senza peraltro farglieli pesare troppo, utilizzando diverse tecniche, tra cui: meno pause, e meno lunghe, dal lavoro, affinché il tempo non risulti ben scandito e scorra apparentemente più veloce; nessun avviso, dopo le otto ore contrattuali, della necessità di straordinari e, soprattutto, nessuna possibilità di scelta per i braccianti, che devono accettare o rassegnarsi a lasciare il lavoro, questo per combatterne pigrizia e fiacchezza connaturate alla loro disabilitante malattia.
Normalmente a queste cure leggere generosamente offerte dal datore di lavoro, si aggiunge un fattore determinante per la guarigione: la mancanza di ufficialità delle ore straordinarie di lavoro, pagate, se pagate, in nero, senza assicurazione, contributi e, naturalmente, sosta. Lo scopo terapeutico è spingere i braccianti ad utilizzare più efficientemente le loro braccia per combattere la malattia, aumentare la propria resistenza e impiegare meno tempo nel lavoro della terra.

La malattia assume altri connotati per i braccianti che lavorano in sommerso, che hanno evidentemente problemi specifici più gravi collegati con il respiro, come col il vivere di aria, con l'abitare in baracche dove non si respira, ... Ma a questa categoria di si farà riferimento in un'altra trattazione ad hoc.

martedì 23 luglio 2013

________________Epitaffio per una Legnano rossa _________________ MOLTO SINGOLARE POCO COLLETTIVO

Vivevo a Roma quando Sante mi disse di aver trovato una bici abbandonata.
" Papaaaaaa', ti prego... "
" No, aspetta Sa', guarda che è bella! L'hanno lasciata in campagna, sai, dove stanno quelle discariche abusive... "
" Ma che schifo! "
" Non ti preoccupare, l'ho portata subito a lavare e disinfettare. E' bella, si piega, è rossa... l'ho presa per te."
Le cinque parole magiche: l'ho presa per te.

Qualche settimana dopo una Legnano rossa abbandonata e trovatella era in viaggio da Taranto a Roma. Giunse un caldissimo pomeriggio, al braccio di Sante che la portò fin sul pavimento del mio balcone, all'ottavo piano di un condominio da dove si vedevano solo antenne.
Era bellissima.
Ed era la mia prima bici. La prima bici mia.
Ero passata dalle bici inutilizzate di mio fratello, su cui avevo avuto un tardivo coraggio di provare a salire, alla graziella bianca di nonno Peppo, lascito fisiologico.
Ma mai avevo avuto una bici mia. Certo, non sarei stata la prima ad avere lei, ma l'avevo in quel momento e in quel momento, guardandola, avevo desiderato averla mia fino alla fine.
Era bellissima.
Perfetta.
Datata 1982.
Era bellissima.
Abbandonata e trovatella, salvata da Sante in mezzo alle campagne pugliesi e ora pronta ad affrontare l'Urbe, a dimostrarmi che potevamo raccogliere la sfida di recuperare un rapporto umano con una città invivibile.

La prima volta che ho usato il manico per portarla a braccio fino a largo Orazi e Curiazi avevo una paura adrenalinica che ricordo perfettamente... Balzai sulla sella e mi diressi verso la Caffarella. E lì giunse la prima delegittimazione: "Dove vuoi andare con quella bici senza marce!"... "Ovunque" fu la mia stupida orgogliosa risposta al canuto romano che, passeggiando, s'era imbattuto in una ragazza che risaliva faticosamente i piccoli pendii del parco.
Ma così fu. Fu ovunque. L'ovunque per me.

La Legnano mi portava in quindici minuti da Marco, che è un terzo del tempo che ci impiegavo in metro. La prima volta che ho percorso via Cilicia per andare da lui, ho avuto molta paura. Mi fermai poco prima del curvone per raccogliere le forze. Il coraggio me lo diede il sorriso di quel signore in bici, con la polo a righe e gli occhiali con le lenti transitions: mi salutò con un cenno della testa tonda e calva e un gran sorriso. Mi sentii parte di una comunità, una piccola comunità di coraggiosi in bici. Ed quel coraggio collettivo e condiviso mi spinse lungo quella brutta strada una, due, tre, decine di volte.
La Legnano mi portava a casa Messina, senza vergognarsi della sua guidatrice vestita di imbarazzanti accessori catarinfrangenti che fecero ridere tantissimo perfino Pedro, il mio dog-terapeuta.
La Legnano mi ha fatto conoscere le ciclofficine fino in fondo, mi ha fatto sporcare le mani di grasso, imparare a cambiare i freni, riparare una camera d'aria, mi ha fatto lavare le mani in mezzo ad altre decine di mani, mi ha fatto sentire l'emozione di vedere dei ragazzini che insegnavano agli adulti come smontare e rimontare una bici intera.
La Legnano m'ha accompagnato sull'Appia Antica. La Legnano mi portò una volta al mare a Santa Marinella con il noto poeta. La Legnano stava accanto a me in piazza mmmerda, o durante i concerti estivi al Verano, o alla festa democratica a Terme di Caracalla, o sui sanpietrini a Trastevere.
Ed era generosa, eravamo generose.
La fontana in mezzo a piazza Santa Maria in Trastevere ci ha viste girare almeno tre volte con il Nero che guidava e me ed Angelo arrampicati sulle sue piccole ruote da 24. E s'è fatta mettere le mani addosso da quel molesto ubriacone di Pio, che le ha lasciato un segno indelebile... direi un orgoglio "forato".
La Legnano mi ha riaccompagnata completamente ubriaca dall'ex-mattatoio, dove'ero con la mia amica immaginaria. Un sempre-amico e un nonancora-nonpiù-amante mi inseguirono fino al semaforo di Piramide per convincermi a desistere, ma nulla mi avrebbe convinta a rinunciare ad un meraviglioso viaggio in Legnano fino all'Appio Tuscolano, godendo del vento in faccia in una serata calda di ancora-estate.
La Legnano mi ha accompagnata in piazza del Popolo per il primo "Se non ora quando", mentre un ragazzotto, assolutamente non pronto alle mie parole, leggeva il mio intervento al "Se non ora quando" di Carosino, in mezzo alla piazza, dove la parola "menne" ancora rimbomba nella vasca della fontana del settecento.
La Legnano mi ha accompagnata alla manifestazione del 15 ottobre e insieme siamo fuggite dalle cariche della polizia, insieme abbiamo girato attorno a piazza San Giovanni inaccessibile e incendiata, aggirando il quartiere fino ad arrivare in via Appia Nuova, tra i cassonetti bruciati e le piccole squadre di ragazzini vestiti di nero, con caschi neri, mazze nere, bottiglie nere, menti nere, che ci passavano accanto e ferivano la nostra città, il nostro quartiere e noi piangevano e Anna mi chiamava preoccupata e MaiLo mi inviava aggiornamenti sul mai funzionante Blackberry.
La Legnano mi ha accompagnata alle riunioni collettive davanti a Santa Croce in Gerusalemme, dove con la Vale ci chiedevamo che cazzo ci facevamo lì e come cazzo pensavano quei giovani seduti in cerchio sul prato di cambiare il mondo scuotendo le mani in stile alleluja-dei-boyscout.
La Legnano mi ha regalato l'anno più bello della mia vita romana, mi ha fatto alzare lo sguardo e scoprire la bellezza dei palazzi del mio quartiere, mi ha fatto scoprire strade nuove, marciapiedi sconnessi, mi ha fatta insultare dai pedoni e minacciare dagli automobilisti, mi ha fatto recuperare l'umanità di quella non-città che ho amato ed odiato per dodici anni della mia vita.

Non son stata capace di trattenerla a me.
Me l'hanno rubata, a Pisa, il 10 luglio 2013.
Pace all'anima sua.



giovedì 18 luglio 2013

Le nuove malattie professionali _ Il culo 2D dell'architetto non pagato

Problema generalmente di carattere transitorio, come i contratti degli interessati (se esistono). Colpisce principalmente i neo-laureati, non solo in architettura, fino al settimo anno dalla proclamazione, in particolare se impiegati in studi di provincia. Di norma essi non sono retribuiti, nemmeno a progetto. E con progetto qui si intende quello su carta o in 3D... insomma quella tipologia di progetto che si confà esattamente alla loro peculiare professione.

La patologia presenta due sintomi caratteristici.

Il primo consiste in un sostanziale appiattimento e conseguente allargamento del deretano dovuto alla posizione assunta nelle ore, minimo otto, di lavoro all'interno dello studio. La sedia utilizzata è rigorosamente non-ergonomica, ma può in taluni casi avere una forma pseudo-anatomica: questa può conferire al fondo-schiena del giovane architetto delle forme fantasiose (per esempio a stella, a fiore, a wurstel tedesco) finalizzate a creare un clima piacevolmente goliardico nell'ufficio.

Il secondo sintomo è riferito al concetto di "farsi il culo", ovvero del "dare il culo". In entrambe le casistiche analizzate, il campione è soggetto a stress proveniente da diverse fonti (quali scadenza impellenti, bandi di gara appena scoperti cui partecipare, senso di dovere unito a sensazione di dover ancora dimostrare qualcosa al proprio datore di lavoro -ma non di paga-) cui reagisce cercando di dare sempre il... massimo.

Per il primo sintomo, si consiglia di evitare di cambiare posizione sulla sedia, per evitare ulteriori spiacevoli deformazioni del culo con conseguenti problemi di carattere fisiologico. Per la seconda tipologia sintomatica, un trattamento che ha dimostrato efficacia su una quota altamente significativa dei campioni, è stato il passaggio dal dare il di dietro a mostrare il di dietro, in particolare se trattasi di spalle... L'unica cura davvero funzionante in termini di costo-efficacia sembra, infatti, essere quella di cambiare studio, e quindi sedia, fino a trovarne una ap-pagante: questo potrebbe riportare il di-dietro ad una forma tridimensionale naturale e il carico di lavoro non più paragonabile ad una presa per il culo.



Attenzione! Se protratto troppo a lungo, il disturbo si cronicizza causando anche problemi neurologici. I primi sintomi della malattia riguardano le capacità mnemoniche, in particolare relativamente a quanto concerne il “cantiere”, incluso il significato stesso della parola “cantiere”.

giovedì 11 luglio 2013

Le nuove malattie professionali _ Il tendine dell'account (malattia del)


Malattia del tendine dell'account


Prende il nome dalla più-che-nota figura professionale dell'account d'agenzia, tuttofare-segretario, scribacchino, stratega, portapacchi-corriere, curatore dei rapporti con clienti e fornitori, spalatore di merda, business-maker e ingoiatore professionista.

Si manifesta con fitte acute e improvvise, di norma accompagnate dal rumore sordo di un mouse sbattuto per riflesso incondizionato e del tutto involontario sul ripiano della scrivania o, nei casi più gravi, sulla faccia del proprio superiore.

Si consiglia, dopo ogni telefonata delirante di un cliente, collega-capo o fornitore, di allentare la tensione sulle braccia per evitare la cronicizzazione. Infatti se cronicizzata, l'infiammazione tende a risalire spalle e collo e giungere al capo, con effetti devastanti sul sistema nervoso, in ogni senso.

Per alleviare i disturbi, si suggerisce di cambiare lavoro o, dove impossibile, di combattere l'infiammazione dei tendini delle parti interessate utilizzando queste ultime così come il corpo tacitamente suggerisce: schiaffeggiando il proprio interlocutore delirante, sempre in modo ossequioso. In caso contrario, questo porterà comunque a farvi cambiare lavoro, ma senza lettera di referenze.

sabato 6 luglio 2013

Le nuove malattie professionali _ Il contorsionismo degli intestini dei precari

Questa patologia colpisce statisticamente in maggior misura le donne e in particolare quelle più giovani. Ma essendo la statistica mera analisi quantitativa, in questo studio non terremo in considerazione questo dato, sottolineando invece il dato di fatto che rappresenta una casistica ben distribuita per variabili di sesso, meno in quella di età (giovani e diversamente giovani), abbastanza bene in tutti i settori professionali e tecnici*, se il dato di fatto è incrociato col dato di contratto.

La modificazione dell'anatomia degli intestini ha inizio, in generale, in modo latente e si manifesta tardivamente con spasmi diffusi ma concentrici, direzionati nello specifico verso il centro dell'ansia, che come sappiamo abita appunto nelle viscere. Risvegliata dalla precarietà del lavoratore post-moderno, dall'assenza quasi totale di punti fermi di riferimento, l'ansia tende a spostarsi vagando disorientata nelle strade delle umane feci, ingarbugliandone le vie fino a creare nodi, nocche e ghirigori.

L'affetto da contorcimento degli intestini tende ad assumere una posizione a conchiglia-a-doppia-valva o a verme-che-si-arrotola-quando-lo-tocchi, chiudendosi quindi su se stesso. Quando cerca di assumere la posizione dell'homo erectus, non ci riesce a causa dei nodi di cui sopra e si richiude a molla dopo aver emesso dei versi cupi e sordi, partiti dalla bocca dell'ansia.

Normalmente, chi ne è affetto è spesso irritabile come il suo intestino, gonfio come la pasta madre quando attaccata dai lieviti, e spento sia fuori che dentro. Quando, invece, accende il cervello, impostato spesso nel malato di precarietà sulla modalità vittimismo-persecuzione-depressione, il problema tende molto lentamente a risolversi. L'attivismo, il coraggio delle decisioni e dei no, la conoscenza dei diritti del lavoratore e altro carburante per le sinapsi, infatti, dà all'ansia una direzione: quella del cesso.


* In seguito analizzeremo invece alcune malattie professionali specifiche.

martedì 30 aprile 2013

Storia di un... disoccupato... di un bombarolo

Cos'altro dire della storia che, insieme al nuovo-vecchio governo Letta, sta occupando le pagine dei giornali italiani e non?

Triste ridicola drammatica storia di un disoccupato bombarolo...

...la cui mano è stata mossa da motivazioni da disperato "se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato".

Riusciamo ad immedesimarci nelle pulsioni che l'hanno mosso, che hanno portato i suoi piedi su un treno, con determinazione eroica e coraggio suicida, che lo hanno portato ad impugnare forse per la prima volta una pistola, con l'intenzione di immolarsi per il Paese e sostituirsi alla finta-rivoluzione-gentile-dei-nuovi-politici-nella-politica, che lo hanno portato a tremare forte e farsi schiacciare dalla tensione fino a fallire, a fargli colpire un padre, a farlo rovinare per terra... con la faccia a terra come un deliquente quale lui non è mai stato fino a quel momento come lui non è mai voluto essere scegliendo la strada più complicata del lavoro anziché della 'ndrangheta che eppure poteva accoglierlo tra i suoi tentacoli, a rendersi ridicolo davanti al Paese di cui si è fatto portavoce e allo stesso tempo carnefice, usandolo come alibi per la propria profonda disperazione.

Riusciamo a dissociarci fortemente, condannando la violenza e non giustificandola per quanto riusciamo a provare la stassa rabbia la stessa pulsione la stessa rabbia, dio la rabbia. Ma la reprimiamo in fondo allo stomaco e finiamo per ascoltare il discorso pseudo-neo-democristiamo di Letta e a desiderare di credere che riuscirà a non farci piangere e disperare fino ad impugnare anche noi un'arma e farla finita.


da Wikipedia
« Quando è uscito "Storia di un impiegato" avrei voluto bruciarlo. Era la prima volta che mi dichiaravo politicamente e so di aver usato un linguaggio troppo oscuro, difficile. L'idea del disco era affascinante. Dare del Sessantotto una lettura poetica, e invece è venuto fuori un disco politico. E ho fatto l'unica cosa che non avrei mai voluto fare: spiegare alla gente come comportarsi. » (Fabrizio De André in un'intervista dalla Domenica del Corriere del gennaio 1974[1].)

lunedì 22 aprile 2013

Primo Maggio a Taranto... ADDO'?!?!


POST POLITICALLY INCORRECT


Venga, brava gente, venga.

Venga a Taranto. Venga per ascoltare musica, ma solo dopo essertene fottuta di Taranto fino ad ora, brava gente.

Venite arroganti Salentini che a Taranto non ci siete mai venite, venite boriosi Baresi che vi prendete il meglio e decidete il peggio, venite silenti e piccoli Pugliesi a vedere Taranto solo ora, voi che non ci siete mai venuti a Taranto.

Venite a Taranto, ma non veniteci per il suo bellissimo museo nazionale e non per le sue spiagge meravigliose e non per la sua tradizione peripatetica di pensiero e non per la sua grandezza sfiorita incrostata nel tempio dorico e non per i diversi livelli di ipogei e non per i pescatori il pescato e le lunghe attività di allevamento delle cozze e per le rapide attività di distruzione delle stesse e non per vedere la morte e per vedere il dramma e per vedere le barche arenate nelle polveri e non per i seni di Taranto e non per la bellezza nera e dura e forte delle Tarantine dai capelli neri e non per vedere i monti della Sila nei giorni buoni.

Venite Italiani, brava gente, se pensate di fare un bel gesto di dare un contributo di lavarvi la coscienza di portarvi via un po' di polvere rossa.

Venite Italiani, brava gente, se state solo sfruttando chi vuole mantenere l'attenzione alta sul caso "Taranto" attirandovi con successo mediante la spettacolarizzazione e che così date carburante al mercato dello spettacolo, che a Taranto è contestualizzato come un impianto siderurgico in mezzo agli uliveti.

Venite degni rappresentanti di una sinistra malata e ignorante di se stessa, che non si sa e che per questo non esiste, ma venite pure voi amanti della musica "varii ed eventualii" ma soprattutto se non avete una vera coscienza sociale, venite a fruire di questa terra umiliata e sporca ma ripulita come quando l'ILVA fa lavare i guardrail dai minerali volatili o come quando venne Karol Wojtyla e si rifecero tutte le pavimentazioni stradali abbandonate da anni, venite per far beneficiare le vostre orecchie senza intaccare i vostri polmoni e le pareti dei vostri stomaci.

Venite, ve la prestiamo ancora una volta noi la nostra terra di merda.

Venite.

Taranto vi aspetta.

Tanto non si aspetta niente Taranto.



PS. Grazie, comunque, ai Tarantini che questo primo maggio alternativo se lo sono pensato e organizzato. E l'hanno fatto perché Taranto resti un tema caldo, perché sanno che solo così forse qualcuno di quei pezzi di brava gente comincerà a interessarsi, chiedere, sapere, pretendere, scegliere, decidere.


PPS.
X: "A Taranto."
Y: "Taranto?! Addo'?!"

martedì 29 gennaio 2013

Estremismi di pensiero

Uno di sinistra che tifa Milan è come un vegetariano con le scarpe di pelle.