venerdì 13 settembre 2013

Di responsabilità, sapere ed esternalità | Ilva, Riva, i magistrati e Il Sole 24 Ore

Caro dottor Paolo Bricco,
sa come funziona la legge?

Resto stupita, da economista che ha lavorato accanto ad epidemiologi nel leggere con quanta leggerezza è stata semplificata la questione Ilva di Taranto su Il Sole 24 Ore di oggi, venerdì 13 settembre 2013.

Perché mai, mi chiedo, un magistrato dovrebbe sapere come funziona un'impresa?

Non dovrebbe forse essere l'imprenditore a sapere come si gestisce un'impresa? Ad avere la responsabilità di saper gestire la propria impresa?
E la responsabilità é quella che un imprenditore ha (o che dovrebbe avere) nei confronti dell'impresa stessa in tutte le sue componenti interne ed esterne (dagli operai ai fornitori, ai clienti), ma anche della comunità in cui opera, conoscendo e rispettando tutte le norme che regolano i rapporti tra questi diversi attori, norme sia "formali" che "informali".

Forse che il signor Riva, meglio i signori Riva abbiano ignorato per anni queste responsabilità? Forse che si siano arricciti alle spese della loro stessa impresa, dei propri operai (ricordiamo gli eventi legati alla Palazzina Laf sempre dello stabilimento tarantino o contiamo le morti bianche o gli incidenti o gli operai malati...), dei fornitori resi totalmente dipendenti dai loro affari grazie alla collaborazione di inetti decisori pubblici e sindacalisti silenti (o peggio), del territorio profondamente contaminato, della comunità locale malata e non più ripagata per questo costo ormai insostenibile?

Come si può accusare un giudice di non interessarsi del funzionamento di un'impresa quando è l'imprenditore stesso a non preoccuparsene? Riva ha comunicato all'esterno l'immagine "classica" dell'homo oeconomicus, il cui beneficio personale è il fine di ogni decisione...sia anche quella di mettere a rischio una delle n imprese del proprio carnet, riuscendo a gofiare abbastanza le casse delle altre con la sorella "povera" ma ben "fortificata".
Forse, infatti, che il gruppo Riva si sia sentito sicuro della sua posizione da quasi monopolista, per il suo network di protettori (inclusi gli operai aziendalisti che da quel lavoro dipendono e che non sanno rendersi autonomi), per il potere negoziale che ha presso decisori pubblici anche quando questi ultimi hanno il sale in zucca, per la forza del patrimonio cumulato in anni e anni di mancati investimenti sugli impianti e di adeguamenti alle normative (e poi dirottato)?

Mi si dica se questo è far funzionare un'impresa con coscienza, con... sapienza.

I giudici stanno stabilendo le responsabilità dei Riva e se l'unico modo di fermare chi continua ad agire ignorando la legge é sequestrare i prodotti di tale agire, che sia. Non è certo il giudice che deve preoccuparsi degli affari dei Riva. Il giudice può e deve solo preoccuparsi di far rispettare la legge.
Alle altre questioni devono pensarci gli altri attori che costituiscono il tessuto sociale ed economico: i decisori pubblici, i cittadini, gli enti di ricerca, gli stessi imprenditori. Ognuno ha una responsabilità nel funzionamento della "cosa pubblica" e molti, troppi di questi soggetti hanno ignorato queste loro responsabilità... Inclusa gran parte della cittadinanza.

Accusare ora i magistrati, che stanno facendo il loro lavoro, di fare il loro lavoro mi sembra un non-sense, oltre che potenzialmente aggravante il conflitto sociale già esistente. Non solo nel tarantino tra Tarantini (operai vs ambientalisti, malati vs politici, operai vs magistrati, ambientalisti vs ricercatori), non solo in Puglia tra alto Salento e resto della Regione, ma anche tra Italiani del Nord e Italiani del Sud (tra Tarantini e operai delle altre imprese del gruppo Riva).


Anche queste sono esternalità negative che un giornalista dovrebbe tenere in considerazione nel lasciare dei commenti sui fatti... o no?





martedì 10 settembre 2013

Che Futuro! lunario dell'innovazione de Il Sole 24 Ore - Medici e tecnofobia

Un po' in sordina, il 23 agosto scorso, è apparso un mio contributo leggero sul tema "medici e tecnofobia". Racconto i miei cinque giorni di conferenza dell'Organizzazione Mondiale dei Medici di Medicina Generale che si è tenuta a Praga a giugno. Con qualche riflessione su come gli esiti di quella esperienza portino delle conseguenze in termini di gestione dell'innovazione del e nel sistema sanitario.

A voi la lettura di Cari medici di famiglia, la tecnofobia fa male alla salute. Pubblica.

domenica 1 settembre 2013

Le nuove malattie professionali _ Sindrome del muratore da quattro soldi

Il muratore precario soffre di norma di diversi problemi di salute, imputabili, in parte, alle abitudini lavorative e ai materiali costruttivi utilizzati e, in altra parte, allo stato di assoluta instabilità del suo lavoro.

Nella prima categoria rientrano le stesse patologie da cui è generalmente affetto il muratore anche non precario, quali mal di schiena e dolori articolari diffusi, allergie, asma e malattie respiratorie. La prima grande differenza rispetto al manovale non precario risiede nelle possibilità di prevenzione e cura del manovale precario. Sul versanto preventivo, quest'ultimo, condotto in cantieri che non conosce per fare cose per le quali non ha avuto una formazione specifica, tantomeno un briefing di qualche minuto, e trovandosi nei suddetti sconosciuti cantieri con qualifica e autorizzazione pari se non inferiore a quella di qualsiasi anziano accorso a seguire i lavori, non ha a sua disposizione attrezzature di lavoro adeguate concepite per scopi di protezione e prevenzione, oppure pur possedendole non sa nemmeno come usarle. Sul versante cura, essendo pagato alla giornata secondo una tariffa che va da i tre e ai cinque euro all'ora e spendedoli spesso poi in larga parte per l'acquisto di sigarette, detergenti per il viso e magliette aderenti (con la speranza di avere lo stesso successo del manovale della Coca-Cola), non è in grado di accedere a cure adeguate al manifestarsi delle malattie, per cui tende a far cronicizzare il problema.

Della seconda categoria fanno parte quei disturbi che si amplificano a causa del continuo cambiamento di cantiere e di materiali per il lavoro, in parte già anticipati. Infatti, il muratore precario non sempre "ha un mestiere" da rivendere sul mercato del lavoro, piuttosto due forti braccia da offrire la mattina presto al miglior offerente come accade lungo via Togliatti nel tratto tra la Casilina e la Prenestina, a Roma, pressappoco ad ogni alba. In queste condizione, non sempre affiancato a muratori esperti, è per lo più condotto in cantieri sconosciuti con altri muratori precari come lui o altri manovali improvvisati, in una babele di lingue e maestranze e abitudini costruttive, dove se risulta difficile imparare un mestiere (secondo la tipologia della trasmissione dal mastro all'apprendista), è del tutto impossibile liberarsi dalle braccia tentacolari delle ditte edili che a volte lo fanno lavorare ma, comunque, non lo assumono, sempre gli chiedono di usare prodotti di scarsa qualità.
Ed è questo l'altro fattore determinante, in termini epidemiologici.
Il continuo cambiamento di materiali ma la costante scarsità della loro qualità, nonché la presenza di materiali non propriamente sicuri e, a volte, adatti più alla costruzione di un castello in spiaggia che di un edificio in città, porta il muratore precario a soffrire di allergie da calce, da colla, da polveri, da tufo, da fieno, e ad ogni altra cosa che respira/aspira, ad esclusione delle sigarette. Ciononostante il manovale si sniffa continuamente il braccio e le polveri su di esso presenti, già amalgamate insieme da qualche goccia di sudore che gli imperlava la fronte e asportata con l'usuale gesto: questa abitudine contribuisce ad accelerare le reazioni chimiche tra i vari contaminanti e determinanti di malattia e, di conseguenza, facilita l'unione sistemica dei sintomi in un'unica sindrome. Sempre, in media, da quattro soldi.