venerdì 28 marzo 2014

Her wall-e

Wall-E EVE sunset | cinemashock.org
Lei il film | AC www.contino.com


giovedì 20 marzo 2014

Wabi-sabi 侘寂



Wabi-sabi

SIGN Concezione estetica giapponese fondata sull'accettazione dell'impermanenza e dell'imperfezione delle cose

voce giapponese, composta da [wabi 侘] povertà, semplicità e [sabi 寂], che indica quella bellezza che nasce dal passare del tempo. In kanji è scritto 侘寂.


Questa parola è molto speciale. È impossibile tradurla in italiano. Wabi-sabi è un senso estetico particolare in Giappone. Questa parola è fatta da due parti: wabi e sabi. Wabi e sabi sono diversi concetti, ma adesso noi giapponesi le descriviamo insieme.
"Wabi (侘)" significa lo stato inferiore, cioè lo stato povero e semplice. I giapponesi pensano che questo stato è bello. Direi: che il prezzo sia basso ma la qualità sia buona. Okakura Tenshin ha scritto nel suo libro, "The Book of Tea", che la parola "imperfetto" traduce bene la parola "wabi". Invece "sabi (寂)" è lo stato deteriorato con il passar del tempo, e poi lo stato deserto o isolato. Secondo Terada Torahiko, è la bellezza che trapela dall'intero di una cosa antica e non è in rapporto con l'apparenza. Per esempio, una roccia coperta di muschio ha questa bellezza.
Ho scritto che wabi-sabi è una sensazione particolare in Giappone. Ma secondo me, c'è questo senso anche in Occidente. Nel campo dell'arte, si trovano tante opere (tragedie, poesie, novelle, pitture, e così via) che esprimono la tristezza, il senso di vuoto, ecc; cioè sentimenti negativi. Anche gli occidentali provano la bellezza da questi.
Quanto a "sabi", per esempio, c'è una parola "antique" in francese ("antiquariato" in italiano, vero?). Questa parola significa "vecchio ma bello". Questi sensi sono simili a "sabi" in giapponese.
Siccome wabi-sabi è una parola che tratta di sensazione, capirla precisamente sarà difficile. (Anzi, la mia spiegazione è troppo brutta per farvela capire bene. Mi scusate!) Ma wabi-sabi è un animo della cultura giapponese. Se capisci il vero significato, potrei dire che comprendi la filosofia dei Giapponesi.

Quel filone di pensiero estetico europeo che adorava il modello unico della bellezza classica, apollinea, imperturbabile, perfetta ed eterna, durante il XIX secolo travalica nel Romanticismo: la malinconia, la nostalgia, l'abbandono diventano temi popolari di bellezza struggente, soggetti privilegiati dell'arte. I pittori vanno a caccia di rovine fra cui pascolano le pecore, i poeti meditano da soli nei cimiteri antichi, i musicisti danno voce alle proprie malinconie. Il fenomeno del Romanticismo non si esaurisce qui; ma questo gusto, ancora rigoglioso, è forse il punto più vicino fra Europa e Giappone: la bellezza di una semplicità sincera e senza fronzoli barocchi, che prende forza dall'inesorabile passaggio del tempo, comprendendo serenamente la nostalgia, la tristezza più delicata - in una tensione dolce e profonda.

* * *


Grazie della "dedica" di
una parola al giorno

domenica 16 marzo 2014

Il Veneto come la Crimea

Chissà se Obama chiamerà Zaia per scongiurare la crisi che un referendum illegale può portare in tutto il mondo...

sabato 15 marzo 2014

Risposta di Michele Riondino al giornalista Michele Serra | Antonia Battaglia, Taranto, Ilva

Devo essere onesta: da Tarantina (fuorisede) non mi sono mai avvicinata abbastanza ai "Cittadini e Lavoratori liberi e pensanti" di Taranto. In parte perché credevo di avere divergenze di pensiero, più che di modi, di approccio alle verità e alle incertezze scientifiche, più che di approccio al manifestare. Ma questo credo dipenda dal fatto che viviamo contesti diversi: io quello della ricerca, loro quello del danno diretto (i cosiddetti e veri stakeholders).
Nonostante non mi senta la persona più adatta per i motivi sopra, sento il dovere di condividere questa lettera di Michele Riondino, tarantino anche lui, in risposta all'Amaca di Michele Serra, apparsa su La Repubblica del 12-03-2014. Non entro nel merito della questione, ma mi ha fatto male la banalizzazione terribile e ingiustificabile delle motivazioni di Antonia Battaglia nelle righe di Michele Serra, al netto del condividerle o no.
Leggete prima la lettera, poi l'Amaca che allego sotto.
A me è salita una rabbia incredibile, e una delusione pantagruelica.

Gentile Michele Serra, sono anni che la seguo. Mi piace il suo modo di scrivere, la sua ironia, il sarcasmo che spesso usa per descrivere paradossi e contraddizioni; ammiro molto la sua capacità di ridurre in pochissime battute ciò che pensa delle tragicommedie italiane. Consideri che la sua "amaca" è il primo pezzo de La Repubblica che leggo ogni giorno, da diversi anni a questa parte. Non posso fare a meno di notare tuttavia quanto poco lei sappia della questione ambientale a Taranto, e Il 3 (o forse il 4) agosto di due anni fa ne ebbi la prima conferma. Nell' "amaca" di quel giorno lei sosteneva che un gruppo di facinorosi ultrà aveva interrotto in modo violento e antidemocratico un comizio dei sindacati che, riunitisi in piazza della Vittoria, intendevano parlare ai lavoratori; quegli stessi lavoratori che stavano vivendo i primi momenti di tensione tra la dirigenza Ilva e la Procura di Taranto. Disse che non si poteva dar credito ad un gruppo di violenti che intendevano imporre la propria voce su quella di chi, per statuto, era delegato a parlare. Gentilissimo Signor Serra, lei ignorava che tra quei facinorosi c'erano liberi cittadini, studenti, medici, malati e anche operai. Si fece ingannare dai loro modi, perché evidentemente non sapeva che una delegazione di quei cittadini e lavoratori liberi e pensanti aveva chiesto in maniera del tutto democratica di poter parlare da quel palco. Quei "facinorosi" volevano confrontarsi con le tre sigle sindacali che, nel corso degli anni, nulla avevano fatto per difendere i loro diritti: come risposta ottennero un categorico rifiuto. L'occupazione di quella piazza fu un atto spontaneo e, se permette, anche dovuto; non ci fu violenza e i segretari confederali preferirono la fuga al confronto.
Da allora, quei cittadini e quei lavoratori hanno cominciato un percorso di lotta non violento che chiaramente non è stato mai preso sul serio; ma si sa: in Italia se non volano sanpietrini o molotov, se non si provoca nessuna carica della polizia, è difficile che qualcuno si impegni a dar voce al dissenso. Oggi, leggendo la sua "amaca" (questa volta non più come primo pezzo della giornata), scopro che lei poco sa anche di Antonia Battaglia, donna tarantina impegnata in politica e nella difesa dei diritti fondamentali, quelli legati all'esistenza e alla possibilità di respirare aria invece che diossina. Lei le dà della ottusa pacifista e le addossa la responsabilità di frantumare quel poco di sinistra che è rimasto nel Paese e nel nascente movimento europeo di Tsipras. Ci tengo a farle notare che gli atti della signora Battaglia seguono esclusivamente la logica della coerenza; questa donna, infatti, rappresenta una collettività che proprio nel suo impegno politico ripone le ultime speranze. È, fuori d'ogni dubbio, impossibile, come la stessa Battaglia afferma, sedersi accanto a chi fino ad oggi ha rifiutato ogni tipo di responsabilità nella questione ambientale a Taranto; a chi ha deriso un giornalista che, nell'esercizio della sua funzione, si è visto strappare di mano il microfono da un alto dirigente Ilva; a chi non ha minimamente provato vergogna e, al contrario, ha sentito il bisogno di alzare la cornetta del telefono per congratularsi con l'autore di un gesto del genere, quello sì antidemocratico. Quello che lei rimprovera alla signora Antonia Battaglia è per me e per i miei concittadini solo ed esclusivamente motivo di orgoglio; Antonia sa che prima di tutto deve rendere conto al popolo che rappresenta, sa di credere nel proprio lavoro; e nella propria ferma volontà di risolvere un dramma che fa registrare giorno dopo giorno nuovi casi di tumori e leucemie. Chiudo questo breve appunto invitandola a visitare la mia città, magari il primo maggio "festa" dei lavoratori.
Michele Riondino
cittadino e lavoratore libero e pensante

www.peacelink.it



Il pezzo di Michele Serra è questo:

L’AMACA di Michele Serra, da Repubblica, 12 marzo 2014
La Lista Tsipras pareva una decente idea per chi crede che la sola alternativa all’Europa prigioniera della contabilità sia un’Europa sociale e solidale. Non si era tenuto conto (almeno qui in Italia) della inesausta litigiosità di quella nebulosa pulviscolare di partitini, movimentini, associazioncine, pensatrici e pensatori single che compongono la sedicente “area dell’alternativa”. Una signora pugliese (portavoce di un imprecisato numero di “associazioni pacifiste”, si spera d’accordo tra loro) si è molto adirata per la presenza in lista di altri pugliesi a lei sgraditi, appartenenti a Sel.
Con tutto il rispetto per la Puglia e per i suoi trulli, la disputa non appare esattamente di respiro europeo. Ma fare ripiombare nel minuscolo, nella bega personale, nella gomitata al vicino di posto ogni questione di qualche respiro e di qualche nobiltà; e ridurla, dunque, a una stizzita contesa tra una manciata di persone; questa è, da sempre, la vera specialità della sinistra, e in modo speciale della sinistra “antagonista” o “alternativa”, da generazioni divisa in fazioni e vicefazioni la cui epifania consiste nell’azzannarsi vicendevolmente a morte. La delegazione pugliese chiederà funerali separati. 

Sarà casuale il ricorso ad espressioni come " nebulosa pulviscolare" oppure di parole come " respiro" nel pezzo di Serra? Forse starò esagerando, ma a me pare anche di leggerci un'altra provocazione, più velata e drammaticamente mostruosa, di quella che ci spiattella in faccia lungo l'intero pezzo... Una provocazione nata non dalla mancanza di conoscenza o consapevolezza del caso Taranto-Ilva, ma da una cosciente valutazione (sottovalutazione).

Altre fonti: http://temi.repubblica.it/micromega-online/una-polemica-tra-michele-serra-e-antonia-battaglia/

A woman

Blue Jasmine mi ha fatto venire in mente A woman under the influence
Cate Blanchett nella sua intrpretazione straordinaria mi ha fatto pensare a quella di Gena Rowlands

Due donne alcoliste, con un carattere emotivamente fragile.
Due donne che hanno subito crisi di nervi che le hanno trascinate in fondo.
Due donne che non riescono ad essere indipendenti, sole. Ognuna a modo suo cerca attenzioni, da un lato stima e riconoscimento, dall'altro affetto e premura.

Ma due storie e due donne completamente diverse.

Non ci ho letto la famosa misoginia di Woody Allen nel primo, tanto meno un ritratto impietoso nel secondo.
Il primo è un dramma personale e sociale allo stesso tempo.
Il secondo è un dramma tutto familiare.

Personale e sociale perché Jasmine sembra la creatura di una modernità capitalista e superficiale che fa dell'apparenza e dello status due delle colonne portanti dello stare al mondo.
Familiare il secondo perché Marble sembra vittima delle sue fragilità e dei nervosismi Nick.

Eppure il risultato è lo stesso: due donne che annegano. Non mi va di aggiungere altro.

venerdì 14 marzo 2014

La giusta distanza

Lui è riuscito a sorprendermi.
A pensarci bene, non so nemmeno come si chiama... eppure al mattino quando entro nell'edificio dell'università dove ha sede il mio ufficio, spero sempre di incontrarlo.
Se ne sta con i suoi lunghi capelli bianchi e la barba bianca, accecante, nella portineria, vestito come i suoi colleghi ma con un libro aperto. Quando entri, alza gli occhi azzurri verso l'ingresso e ti accoglie con un grande sorriso.
Lui è riuscito a sorprendermi.
Non vedo l'ora che capiti il suo turno nella "mia" portineria. Mi preparo all'incontro: mi ha suggerito di guardare "La giusta distanza" di Carlo Mazzacurati che, ahimè, mi mancava. Ne discutemmo un giorno, quando il regista è morto, e mi ero ripromessa di guardarli tutti... "La giusta distanza, guarda per primo questo. E' il mio preferito, dove secondo me ha raggiunto il massimo della sua espressione. E' di una delicatezza incredibile. Guardarlo, poi ne parliamo".
E io mi preparo a parlarne con lui, con l'animo allegro.

I livello
passaggio dalla metropoli al paesino di provincia

II livello
il pregiudizio che accomuna praticamente tutti

III livello
l'uso della luce, la fotografia

IV livello
le distanze