mercoledì 29 giugno 2011

L'Italia non mi aspetta. Io torno.

Cinque giorni in Portogallo del nord.
Cinque giorni di meraviglia.
Le madonne in azulejos, la ginjinha, la disponibilità, gli infiniti obrigado, la lingua portoghese e mille altre lingue, le vie strette, la educação informale e formale allo stesso tempo, le camminate, l'inquietudine del Bom Jesus, i muschii incrostati sui muri e sulle facciate, i gabbiani, gli incontri, il coração do Minho, il gallo, la feira e i prodotti della terra ammassati per terra accanto a galline stordite e conigli tremanti, le elezioni, i comunisti e "Bella Ciao" intonata nel mercato del villaggio, il sole cocente e le nubi improvvise, il disordine statico e l'ordine dinamico.
Infine l'oceano.
Deciso, indelicato, confidente.

Eravamo sedute su un terrazzo a poche decine di metri dall'Atlantico.
Due Italiane e un Portoghese.
Una Italiana in vacanza con le ginocchia bruciate dal sole che si fa più prepotente sull'oceano. Una vacanza da ospite. Una vacanza a dimensione di precaria. Una vacanza da ospite di una precaria.
Una Italiana, l'altra, con il petto e le spalle rosse, ma preparata, pronta, perché su entrambi, petto e spalle, fa spessore l'esperienza delle tante esperienze lontano dall'Italia.
Un Portoghese con una vita piena e complessa, che vorrebbe decollare.
Si guardava così, assieme, la distesa in(de)finita del mare e si parlava della miriade di aspetti positivi del Portogallo.
Immancabili sono arrivate le espressioni verbali di un pensiero che accarezza molti Italiani:
"Ma perché non resto qui? E se rimandassi la partenza di qualche giorno? Forse... potrei trasferirmi... potrei valorizzare le mie competenze..."
Non ci si guardava mai negli occhi, si cercava l'America con lo sguardo, nel sole che stava cominciando ad abbassarsi sull'orizzonte.
"Cos'è che non funziona nel mio Paese? Davvero io non posso niente? Davvero non posso strapparlo a chi lo umilia e lo degrada? Davvero io ho come unica soluzione alla mia vita la fuga?"
I pensieri seguivano il ritmo delle onde, arrotolandosi nella schiuma tra le valve nere.
Il Portoghese e l'Italiana in Portogallo parlavano intanto in una lingua tutta loro, di parole italiane, spagnole e portoghesi, di parole non dette, di sguardi persi.
Flussi interrotti dalle dinamiche del mio pensare urlato:
"NO! Io devo tornare. Io posso riprendermi il mio Paese. Ci hanno convinti tutti che non ne siamo capaci, che non possiamo nulla, che non siamo in grado di cambiare nulla, di costruire nulla, di decidere ed essere decisivi per nulla. In Italia la mia generazione non crede in se stessa. E' frammentata e distante, ma soprattutto insicura. Io torno... io resto perché credo in me, nella mia generazione, nelle nostra capacità e nella meraviglia del mio Paese".
Il Portoghese mi guarda con un sorriso.
"Sembravi una figheta", mi dice, "invece sei una comunista"
Poi mi spiega che in Portogallo il "comunismo" non è un'offesa come in Italia, non è pregiudizievole, non è un marchio di infamia. Comunismo vuol dire qui interesse e lotta per il popolo. Non più proletario. Nemmeno proletario. Ma instabile, insicuro, precario.
Io, sì, voglio lottare per questa gente, per la mia gente, per ognuno di questi individui, anche il peggiore. Solo in questa misura io sono comunista in Portogallo e utopista in Italia.

Assaporo con preoccupazione e sfida la differenza tra la fiducia in quello in cui credo e l'incertezza sul come questo possa guidare il mio agire: comunista in Portogallo, utopista in Italia.
"C'è ancora tanto da fare", penso
Poi mi alzo e vado in bagno a togliermi l'oceano dagli occhi.
L'Italia non mi aspetta.
Io torno.

...

domenica 26 giugno 2011

Il dire e il fare - I congresso S(e)L Carosino

Con le parole di Gramsci*, qualche giorno fa, Massimiliano Bruno Cinque ha aperto la sua mozione durante il congresso del S(e)L di Carosino, il primo, quello per la decisione sulla segreteria dello stesso.
[...] Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”
Chiamare in causa, la propria causa, un politico, pensatore, partigiano come Gramsci ha un peso. Ha un valore.
Queste parole hanno un valore.
Un valore indisponibile che esprimono, in sintesi, delle riflessioni profonde e spesso difficili, un pensiero che ha attraversato e guidato non solo la vita e le scelte di Gramsci, ma anche la storia della sinistra dell'Italia.
Sono parole pregne di senso, che significano essere in un certo modo e agire di conseguenza.

Le parole sono importanti, come urlava Nanni Moretti.
Non possono essere pronunciate come se fosse niente, come se non avessero conseguenze.
In questo caso, le conseguenze sono la necessità che si traducano in azioni.

Auguro al nuovo coordinatore del S(e)L di Carosino, che le ha scelte per presentarsi, di non essere indifferente e di combattere l'indifferenza, di stare da una parte e di difenderla da chi si muove come ammorbante zanzara su acque melmose, di avere cioè il coraggio di PARTEGGIARE come la sezione di Carosino non ha saputo fare dalla sua nascita fino ad ora.

Parteggiare e prendere le distanze da chi non parteggia:
  • aborrire quelle alleanze disgustose con partiti che non parteggiano, che si dicono centristi al solo scopo di potersi muovere a destra e a sinistra a seconda delle opportunità del momento, che rinnegano se stessi e i loro valori di fondo (semmai ne hanno) per adattarsi alla circostanza più conveniente al momento, che non seguono le linee programmatiche del loro partito quando queste non si adattano alle alleanze strategiche temporanee, che se ne fregano degli elementi distintivi, identitarii che dovrebbero caratterizzarli, che forse nemmeno ce l'hanno una identità precisa e, per questo, spesso raccolgono persone opportuniste che fanno della politica un lavoro, un'opportunità di carriera, una comoda strada per soddisfare i proprii interessi personali;
  • aborrire quelle persone degli altri partiti alleati o del proprio partito che, allo stesso modo, non parteggiano, non sanno parteggiare o non vogliono parteggiare, che cioè non si fanno guidare da una idea o ideale definiti, da valori precisi, da un ontologico dirsi e quindi fare, che non si votano al prossimo, al benessere collettivo, all'interesse della cittadinanza ma al proprio, cambiando partito, sigla, parte pur di non perdere i proprii privilegi.
  • odiare chi non parteggia, cioè disprezzare profondamente quel modo di fare politica che non sia chiaramente da una parte, che non sia interessata al bene delle persone, che sia indifferente e apprezzare, piuttosto, un modo di far politica che si lascia coinvolgere nella cosa pubblica, che ritiene la cosa pubblica di tutti, non dei "potenti", che s'interessa, che ascolta, che combatte, che non scende a compromessi.

Auguro al nuovo segretario dell'appena-nata, e già anacronistica, S(e)L di Carosino di avere la forza e il coraggio delle parole. Le ha già pronunciate aprendo la sua mozione: ora deve metterle in pratica.
Vogliamo vederlo parteggiare.
Vogliamo vederlo odiare chi non parteggia.
Vogliamo vedere una politica coerente.
Una politica interessata.
Una politica non indifferente e non asservita agli interessi di pochi.
Una politica di persone coraggiose, coerenti, che ci amano e vogliono e fanno il nostro bene.
Una politica che parla la nostra lingua e che sta dalla nostra parte.
A sinistra.
Libera.
Con un cuore ecologico**...


Una politica degna di rappresentarci.


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*Gramsci, La città futura, 11 febbraio 1917

** Quando lo avrà forse toglierò le parentesi che rinchiudono e minuscolizzano la "e" nella sigla del partito a Carosino.

giovedì 16 giugno 2011

Frammento di precarietà. Una storia vera.

Ho nome e cognome latini e preparazione umanistica, ma non prettamente.
Ho 28 anni, ma ancora per qualche settimana.
Non ho figli né figlie...
Né un compagno o una compagna con cui condividere la mia vita.
Oggi sono precaria nella vita e nel lavoro.
Oggi sono precaria nella ricerca sociale.
Domani sarò di nuovo disoccupata.

Scade oggi il mio contratto di stage per il cui rinnovo ho rincorso persone
proposto progetti che non sono stati nemmeno sfogliati
udito ipotizzare di borse, di assegni, di progetti, tutti di ricerca*
scritto documenti che sono stati letti in fretta
sentito parlare di possibilità future, le stesse di mesi e mesi fa
telefonato a segreterie dove lo squillo riecheggiava solitario
chiamato cellulari che risultavano sempre spenti
mandato email rimaste senza risposta con allegati rimasti appesi
contattato centralini i cui centralinisti mi dicevano che quella persona "'so mesi che nu la vedemo!"
e poi
poi sono stata umiliata e offesa.

Ho scoperto che il ministro Brunetta non è l'unico a considerare nullità i precari.

Direi che è in buona compagnia di certi professoroni, presidenti di corsi, dinosauri della ricerca e mummie dell'università, ma anche docentucci e tirapiedi
tutte persone che pretendono prostrazioni, assensi muti e sudditanza
criticano il criticabile e non
fanno domande per loro retoriche
fanno affermazione che sono dogmi e alle quali non si può rispondere
si irritano terribilmente se invece ricevono risposte
soprattutto se sono critiche e fondate
si sentono in diritto di insultare gratuitamente
si sentono così grandi da poter trattare l'altro come una nullità
si sentono nella posizione di umiliare, mortificare, sminuire, infangare
si sentono in potere di minacciare perché pensano di poter decidere della tua carriera
si fanno grandi togliendo la dignità e mancando di il rispetto al loro intelocutore.

Oggi mi è stato chiesto di umiliare me stessa,
di non rispondere dicendo ciò che pensavo,
di piegarmi alle volontà, ai tempi, alle disponibilità, ai desiderata di chi aveva il potere della firma
di implorare un rinnovo,
di ringraziare per un lavoro gratuito, non per loro che addirittura mi pagavano l'assicurazione,
di essere grata anche per il mio CV che poteva diventare più competitivo,
di pormi con toni servili, affettati, ipocritamente ossequiosi,
di scusarmi per le mie richieste,
di pregare per un sì, per una firma.

Ho pianto lacrime dolorose di rabbia e rancore per così tanta umiliazione della mia dignità, di persona, di precaria, di ricercatrice, di professionista.
Ma solo dopo aver fatto risuonare nella cornetta del telefono la mia voce, le mie risposte, la mia critica aspra, la mia determinazione nel difendere me stessa e, con me, la mia dignità e il rispetto che provo nei miei confronti quando mi specchio nei miei stessi occhi.

Non ci sono condizioni alle quali mi piegherei se queste compromettono il valore di me stessa quale individuo indisponibile e meritevole di rispetto.
Non c'è nulla che valga la mia dignità.
E questo, signori, è il meglio di questo Paese.



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*o forse intendevano ricerca di assegni, di borse, di...
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martedì 14 giugno 2011

Il Cambiamento della Rivoluzione Attiva

"Senti che bel vento" firmato PD, affisso accanto agli oltre 27 milioni di GRAZIE di Verdi e IDV: sicuramente il mio stomacuore ha reagito meglio nel secondo caso rispetto al primo, ma devo dire che, nonostante tutto, un rigurgito extra-sistole l'ho avuto comunque.

Ho letto un vago tentativo di appropiarsi di un risultato, infatti, che lo interpreta come la vittoria di un partito (o la sconfitta di un altro), piuttosto che come la vittoria di Italiani ed Italiane.

Il motivo del rigurgito è proprio qui. E' che, riportando questa situazione nel piccolo, nel quotidiano, quindi nella mia esperienza personale, quello che ho potuto constatare è stato un totale assenteismo dei partiti, di questi gruppi che si dichiarano rappresentanti e portatori di interessi di una piccola o grande collettività, che tanto si sono impegnati nelle loro campagne elettorali per le amministrative di un mese fa, e che sono rimasti nel silenzio quasi più totale nella campagna referendaria locale.

Tutti uniti, stavolta, in un visibilissimo immobilismo che, forse, li ha allontanati ancor di più dalla cittadinanza, soprattutto da quella più attiva, da quella che più di tutti si è impegnata (nelle sue possibilità) a informare e sensibilizzare.

Non parlo come facente parte del Comitato Referendario Carsunese, che ha lavorato benissimo senza sigle e bandiere, ma solo con le persone. Anche quelle afferenti a partiti o liste, ma che si sono impegnate in quanto cittadini/e.


Parlo da cittadina, appunto, che si aspetta e pretende da politici e politicucci che facciano seguire alle loro belle parole dei fatti concreti, che dimostrino il reale interesse per il benessere comune. E come non possono influire su di esso le scelte (o le mancate scelte) cui ci ha chiamati/e il referendum?

E allora, come mai i partiti e i loro esponenti più "influenti" hanno disertato a questo appuntamento con la democrazia? Come mai non abbiamo visto tirapiedi andare in giro casa per casa, riempire la nostra posta reale o virtuale, diventare molesti ed invadenti con saluti e offerte di caffè, link/avatar su facebook e quant'altro la fantasia elettorale sia riuscita a far partorire alle loro testoline?


Forse perché si tratta di esponenti di una politica che non funziona più?

Forse perché si sta affacciando una nuova forma di politica sulle strade, alle finestre, che ha la forma delle suole delle scarpe e il suono di voci che salgono dal basso?

Sì, forse sì.


Una nuova forma di politica che si scrive comunità e suona a leggerla democrazia.


[parafrasando la canzone del comitato di Jacopo e Fausto]

Che parla con la voce di ragazze che lavorano fino a tardi ma non sono stanche quando devono dare il loro contributo.

Che parla la lingua di chi chiede a lavoro ore di ferie per poter partecipare ogni giorno alle attività del comitato.

Che parla i sorrisi di chi non si fa prendere dall'ansia degli esami quando pedala anziché studiare.

Che parla le mani di chi prepara dolci, raccoglie frutta, impasta focacce per restituire le forze al comitato.

Che parla la presenza costante di chi, "influente", ha sostenuto le attività lasciando completa autonomia ma dando altrettanto completa disponibilità.

Che parla le scritte degli striscioni fissate per terra le prime, appesi dove era opportuno i secondi.

Che parla gli applausi delle nonnine alle finestre e nnanz'a casa.

Che parla i kilometri di chi è venuto a suonare per animare l'informazione, di chi non potendo far altrimenti ha seguito in auto pur di esserci, di chi ha viaggiato per partecipare.

Che parla con la bocca di bambini e bambine tra le giostre della villa e le fontanelle sopite del paese.

Che parla le letture notturne e diurne, le email per organizzare, le conversazioni su skype per definire e ri-definire.

Che parla la voce di chi ha dato voce scrivendo, cantando, leggendo, telefonando, microfonando, megafonando.

Che parla i piedi di chi ha camminato, passeggiato, ciclopasseggiato, ballato, salito, arrampicato, sotto al sole alla pioggia al vento e alla luna.

Che parla la serenità di chi viene ammonito o minacciato ma non si spaventa né si arrende.

Che parla con tute nucleari, magliette VOT4 Sì, rime e canzoni e non si fa scoraggiare da un "ma camina!!!".

Che parla il vocabolario della collaborazione, della disponibilità, dell'apertura, della lealtà, della responsabilità e, quindi, della solidarietà.

Che parla la lingua informale, semplice, diretta, spontanea, immediata, vera delle persone, degli individui singoli che, con le loro forze, si sono organizzati in un comitato allegro e determinato.

Che parla l'amore (e sì, ci risiamo!!! :-P) per una causa collettiva, per un paese, per un Paese, per la democrazia partecipata.

Che parla democrazia partecipata.

Che parla democrazia.


Sì.

Forse accade che cittadine e cittadini si stiano riprendendo la politica, quella autentica che significa impegno sociale, tutela dell'interesse generale, collettivo e singolare, sforzo condiviso e solidale, libertà e autonomia da condizionamenti esterni che non si sposano con gli scopi di questa nuova politica: quella della cittadinanza per la cittadinanza.


Si prepari, dunque, ogni esponente della politica old style, perché il Comitato Referendario Carsunese durerà.

Da gruppo è diventato fatto sociale, da energia a forza.

Dà il benvenuto a tutti coloro che vogliono partecipare e contribuire davvero alla "cosa/causa pubblica" carosinese.

Si toglie il cappello dell'urgenza democratica referendaria e resta.


Resta Comitato Carsunese.
[doppia C come "Cittadini e Cittadine"]

Resta per fare.

Resta per dare.





Buongiorno alla cittadinanza attiva carsunese!

venerdì 3 giugno 2011

Carosino si muove.

Ancora una volta, singolare e collettivo si declinano in crasi continue nella vita quotidiana, concreta, tangibile.

Collettivo è quello che sta accadendo nel nostro Paese, soprattutto dopo le elezioni amministrative e il conseguente ballottaggio in alcune importanti città e province italiane.
In rete e in qualche trasmissione tv si parla di aria nuova.
Sui quotidiani si legge di un vento di cambiamento.
Qualcuno lo definisce già un momento storico importante, di svolta per l'Italia.

Questa sensazione entra, come per contagio mediatico, nell'animo di tutti coloro che questo mutamento aspettavano e sognavano, per chi ci si è impegnato, per chi ha lottato, per chi si è lagnato, per chi ha anche solo atteso.
Questa sensazione funge da impulso energetico restituendo la fiducia in se stessi, la fiducia nel cambiamento, la fiducia nell'esistenza di un futuro.
Questa sensazione cambia la proiezione delle proprie vite possibili, per chi ne aveva una, e la produce, per chi non si sentiva più in grado nemmeno di immaginarsi al di là dell'oggi.

Questa sensazione, questo impulso, questa capacità di immaginazione sono propulsori anche di una dimenticata fiducia nelle proprie capacità di cambiamento, nel proprio ruolo a favore di questo divenire inaspettato ma sperato.
A partire proprio dal centro dell'ego, molti e molte in Italia hanno ricominciato a credere in se stessi, nelle proprie potenzialità, nel loro essere realmente in grado di fare la differenza, di decidere di quel domani avvicinandolo a sé.

Singolare è proprio questo: scoprirsi capaci di contribuire e poi contribuire nel concreto.
Sentire che cambia davvero.
Dal basso e dal piccolo.

Singolare, nel senso di insolito, è ciò che sta accadendo nel nostro paese.
Accanto ai soliti meccanismi statici delle accuse di protagonismo, dei tentativi di protagonismo, delle accuse di strumentalizzazione, dei tentativi di strumentalizzazione
accanto all'immobilità della mugghia e dell'ipocrisia che essa emana
accanto al "solito peggio" che il nostro paese ha saputo dare, ho scoperto il nuovo e il nuovo ha scoperto me sorridente.

La risposta alla stasi che crea paludi e fango e miasmi è stato un roteare di raggi, un rincorrersi di pedali, un direzionare le voci verso le finestre, un abbracciare di idee le fontanelle, un darsi la mano nel mezzo della piazza. E girare. E girare. E girare.




Questo paese ha saputo dimostrare di saper ben superare lo stato di immobilismo malato in cui era caduto, ha saputo tirar fuori sorrisi e fronti corrugate, voci e urla, idee e progetti, capacità organizzative e operative, accordi e disaccordi, strette di mano e comprensioni, avvicinamenti e allontanamenti: un dinamismo che ha prodotto ricchezza per una collettività, un dinamismo che ha spiegato a tutti e fatto comprendere a molti che ognuno è diverso da sé e, per questo, importante fonte di alternative.
Ma soprattutto fonte di un futuro che è sia collettivo che singolare.
Questo paese ha saputo dimostrare attraverso i Carosinesi e le Carosinesi che è ancora vivo e sveglio e attivo e capace di tutto quello che sembrava così difficile da ritenersi impossibile.

Questa è la ricchezza della cittadinanza attiva e della vera partecipazione.
Questa è la ricchezza di una serie di persone che singolarmente danno il meglio per il futuro di tutti e tutte.


Mai più ferma Carosino.
Mai più chiedere di censurarsi.
Mai più costringere a stare attenti a ciò che si pensa e a quanto si dice.
Mai più dover scegliere il meno peggio per sé e per la collettività.
Mai più i meccanismi e le frasi della vecchia politica.
Mai più ferma Carosino.

Carosino si muove. Non fermiamola.


Un grazie sentito al Comitato Referendario Carsunese