mercoledì 31 luglio 2013

Le nuove malattie professionali _ Braccia molli, ma anche piedi, del bracciante stagionale


Il bracciante stagionale soffre di una malattia congenita, probabilmente provocata dagli effetti della peronòspora con la quale siano entrati in contatto genitori, amici, parenti o amici degli amici dei genitori dei parenti del bracciante in età fetale di quest'ultimo.
Questa malattia dà al bracciante, nonostante sia appunto un bracciante, un'autonomia nell'uso delle braccia di sole nove ore, al massimo dieci, considerando per giunta una pausa di mezz'ora dopo la quarta ora, se c'è. A causa di questo problema congenito, generalmente il bracciante non riesce nemmeno a stare in piedi senza fatica e lamenti per più di dieci ore, sempre nelle condizioni di cui sopra.

Per questi motivi, si consiglia di seguire le prescrizioni del datore di lavoro il quale cerca di aiutare disinteressatamente lo stagionale a superare i proprii limiti, senza peraltro farglieli pesare troppo, utilizzando diverse tecniche, tra cui: meno pause, e meno lunghe, dal lavoro, affinché il tempo non risulti ben scandito e scorra apparentemente più veloce; nessun avviso, dopo le otto ore contrattuali, della necessità di straordinari e, soprattutto, nessuna possibilità di scelta per i braccianti, che devono accettare o rassegnarsi a lasciare il lavoro, questo per combatterne pigrizia e fiacchezza connaturate alla loro disabilitante malattia.
Normalmente a queste cure leggere generosamente offerte dal datore di lavoro, si aggiunge un fattore determinante per la guarigione: la mancanza di ufficialità delle ore straordinarie di lavoro, pagate, se pagate, in nero, senza assicurazione, contributi e, naturalmente, sosta. Lo scopo terapeutico è spingere i braccianti ad utilizzare più efficientemente le loro braccia per combattere la malattia, aumentare la propria resistenza e impiegare meno tempo nel lavoro della terra.

La malattia assume altri connotati per i braccianti che lavorano in sommerso, che hanno evidentemente problemi specifici più gravi collegati con il respiro, come col il vivere di aria, con l'abitare in baracche dove non si respira, ... Ma a questa categoria di si farà riferimento in un'altra trattazione ad hoc.

martedì 23 luglio 2013

________________Epitaffio per una Legnano rossa _________________ MOLTO SINGOLARE POCO COLLETTIVO

Vivevo a Roma quando Sante mi disse di aver trovato una bici abbandonata.
" Papaaaaaa', ti prego... "
" No, aspetta Sa', guarda che è bella! L'hanno lasciata in campagna, sai, dove stanno quelle discariche abusive... "
" Ma che schifo! "
" Non ti preoccupare, l'ho portata subito a lavare e disinfettare. E' bella, si piega, è rossa... l'ho presa per te."
Le cinque parole magiche: l'ho presa per te.

Qualche settimana dopo una Legnano rossa abbandonata e trovatella era in viaggio da Taranto a Roma. Giunse un caldissimo pomeriggio, al braccio di Sante che la portò fin sul pavimento del mio balcone, all'ottavo piano di un condominio da dove si vedevano solo antenne.
Era bellissima.
Ed era la mia prima bici. La prima bici mia.
Ero passata dalle bici inutilizzate di mio fratello, su cui avevo avuto un tardivo coraggio di provare a salire, alla graziella bianca di nonno Peppo, lascito fisiologico.
Ma mai avevo avuto una bici mia. Certo, non sarei stata la prima ad avere lei, ma l'avevo in quel momento e in quel momento, guardandola, avevo desiderato averla mia fino alla fine.
Era bellissima.
Perfetta.
Datata 1982.
Era bellissima.
Abbandonata e trovatella, salvata da Sante in mezzo alle campagne pugliesi e ora pronta ad affrontare l'Urbe, a dimostrarmi che potevamo raccogliere la sfida di recuperare un rapporto umano con una città invivibile.

La prima volta che ho usato il manico per portarla a braccio fino a largo Orazi e Curiazi avevo una paura adrenalinica che ricordo perfettamente... Balzai sulla sella e mi diressi verso la Caffarella. E lì giunse la prima delegittimazione: "Dove vuoi andare con quella bici senza marce!"... "Ovunque" fu la mia stupida orgogliosa risposta al canuto romano che, passeggiando, s'era imbattuto in una ragazza che risaliva faticosamente i piccoli pendii del parco.
Ma così fu. Fu ovunque. L'ovunque per me.

La Legnano mi portava in quindici minuti da Marco, che è un terzo del tempo che ci impiegavo in metro. La prima volta che ho percorso via Cilicia per andare da lui, ho avuto molta paura. Mi fermai poco prima del curvone per raccogliere le forze. Il coraggio me lo diede il sorriso di quel signore in bici, con la polo a righe e gli occhiali con le lenti transitions: mi salutò con un cenno della testa tonda e calva e un gran sorriso. Mi sentii parte di una comunità, una piccola comunità di coraggiosi in bici. Ed quel coraggio collettivo e condiviso mi spinse lungo quella brutta strada una, due, tre, decine di volte.
La Legnano mi portava a casa Messina, senza vergognarsi della sua guidatrice vestita di imbarazzanti accessori catarinfrangenti che fecero ridere tantissimo perfino Pedro, il mio dog-terapeuta.
La Legnano mi ha fatto conoscere le ciclofficine fino in fondo, mi ha fatto sporcare le mani di grasso, imparare a cambiare i freni, riparare una camera d'aria, mi ha fatto lavare le mani in mezzo ad altre decine di mani, mi ha fatto sentire l'emozione di vedere dei ragazzini che insegnavano agli adulti come smontare e rimontare una bici intera.
La Legnano m'ha accompagnato sull'Appia Antica. La Legnano mi portò una volta al mare a Santa Marinella con il noto poeta. La Legnano stava accanto a me in piazza mmmerda, o durante i concerti estivi al Verano, o alla festa democratica a Terme di Caracalla, o sui sanpietrini a Trastevere.
Ed era generosa, eravamo generose.
La fontana in mezzo a piazza Santa Maria in Trastevere ci ha viste girare almeno tre volte con il Nero che guidava e me ed Angelo arrampicati sulle sue piccole ruote da 24. E s'è fatta mettere le mani addosso da quel molesto ubriacone di Pio, che le ha lasciato un segno indelebile... direi un orgoglio "forato".
La Legnano mi ha riaccompagnata completamente ubriaca dall'ex-mattatoio, dove'ero con la mia amica immaginaria. Un sempre-amico e un nonancora-nonpiù-amante mi inseguirono fino al semaforo di Piramide per convincermi a desistere, ma nulla mi avrebbe convinta a rinunciare ad un meraviglioso viaggio in Legnano fino all'Appio Tuscolano, godendo del vento in faccia in una serata calda di ancora-estate.
La Legnano mi ha accompagnata in piazza del Popolo per il primo "Se non ora quando", mentre un ragazzotto, assolutamente non pronto alle mie parole, leggeva il mio intervento al "Se non ora quando" di Carosino, in mezzo alla piazza, dove la parola "menne" ancora rimbomba nella vasca della fontana del settecento.
La Legnano mi ha accompagnata alla manifestazione del 15 ottobre e insieme siamo fuggite dalle cariche della polizia, insieme abbiamo girato attorno a piazza San Giovanni inaccessibile e incendiata, aggirando il quartiere fino ad arrivare in via Appia Nuova, tra i cassonetti bruciati e le piccole squadre di ragazzini vestiti di nero, con caschi neri, mazze nere, bottiglie nere, menti nere, che ci passavano accanto e ferivano la nostra città, il nostro quartiere e noi piangevano e Anna mi chiamava preoccupata e MaiLo mi inviava aggiornamenti sul mai funzionante Blackberry.
La Legnano mi ha accompagnata alle riunioni collettive davanti a Santa Croce in Gerusalemme, dove con la Vale ci chiedevamo che cazzo ci facevamo lì e come cazzo pensavano quei giovani seduti in cerchio sul prato di cambiare il mondo scuotendo le mani in stile alleluja-dei-boyscout.
La Legnano mi ha regalato l'anno più bello della mia vita romana, mi ha fatto alzare lo sguardo e scoprire la bellezza dei palazzi del mio quartiere, mi ha fatto scoprire strade nuove, marciapiedi sconnessi, mi ha fatta insultare dai pedoni e minacciare dagli automobilisti, mi ha fatto recuperare l'umanità di quella non-città che ho amato ed odiato per dodici anni della mia vita.

Non son stata capace di trattenerla a me.
Me l'hanno rubata, a Pisa, il 10 luglio 2013.
Pace all'anima sua.



giovedì 18 luglio 2013

Le nuove malattie professionali _ Il culo 2D dell'architetto non pagato

Problema generalmente di carattere transitorio, come i contratti degli interessati (se esistono). Colpisce principalmente i neo-laureati, non solo in architettura, fino al settimo anno dalla proclamazione, in particolare se impiegati in studi di provincia. Di norma essi non sono retribuiti, nemmeno a progetto. E con progetto qui si intende quello su carta o in 3D... insomma quella tipologia di progetto che si confà esattamente alla loro peculiare professione.

La patologia presenta due sintomi caratteristici.

Il primo consiste in un sostanziale appiattimento e conseguente allargamento del deretano dovuto alla posizione assunta nelle ore, minimo otto, di lavoro all'interno dello studio. La sedia utilizzata è rigorosamente non-ergonomica, ma può in taluni casi avere una forma pseudo-anatomica: questa può conferire al fondo-schiena del giovane architetto delle forme fantasiose (per esempio a stella, a fiore, a wurstel tedesco) finalizzate a creare un clima piacevolmente goliardico nell'ufficio.

Il secondo sintomo è riferito al concetto di "farsi il culo", ovvero del "dare il culo". In entrambe le casistiche analizzate, il campione è soggetto a stress proveniente da diverse fonti (quali scadenza impellenti, bandi di gara appena scoperti cui partecipare, senso di dovere unito a sensazione di dover ancora dimostrare qualcosa al proprio datore di lavoro -ma non di paga-) cui reagisce cercando di dare sempre il... massimo.

Per il primo sintomo, si consiglia di evitare di cambiare posizione sulla sedia, per evitare ulteriori spiacevoli deformazioni del culo con conseguenti problemi di carattere fisiologico. Per la seconda tipologia sintomatica, un trattamento che ha dimostrato efficacia su una quota altamente significativa dei campioni, è stato il passaggio dal dare il di dietro a mostrare il di dietro, in particolare se trattasi di spalle... L'unica cura davvero funzionante in termini di costo-efficacia sembra, infatti, essere quella di cambiare studio, e quindi sedia, fino a trovarne una ap-pagante: questo potrebbe riportare il di-dietro ad una forma tridimensionale naturale e il carico di lavoro non più paragonabile ad una presa per il culo.



Attenzione! Se protratto troppo a lungo, il disturbo si cronicizza causando anche problemi neurologici. I primi sintomi della malattia riguardano le capacità mnemoniche, in particolare relativamente a quanto concerne il “cantiere”, incluso il significato stesso della parola “cantiere”.

giovedì 11 luglio 2013

Le nuove malattie professionali _ Il tendine dell'account (malattia del)


Malattia del tendine dell'account


Prende il nome dalla più-che-nota figura professionale dell'account d'agenzia, tuttofare-segretario, scribacchino, stratega, portapacchi-corriere, curatore dei rapporti con clienti e fornitori, spalatore di merda, business-maker e ingoiatore professionista.

Si manifesta con fitte acute e improvvise, di norma accompagnate dal rumore sordo di un mouse sbattuto per riflesso incondizionato e del tutto involontario sul ripiano della scrivania o, nei casi più gravi, sulla faccia del proprio superiore.

Si consiglia, dopo ogni telefonata delirante di un cliente, collega-capo o fornitore, di allentare la tensione sulle braccia per evitare la cronicizzazione. Infatti se cronicizzata, l'infiammazione tende a risalire spalle e collo e giungere al capo, con effetti devastanti sul sistema nervoso, in ogni senso.

Per alleviare i disturbi, si suggerisce di cambiare lavoro o, dove impossibile, di combattere l'infiammazione dei tendini delle parti interessate utilizzando queste ultime così come il corpo tacitamente suggerisce: schiaffeggiando il proprio interlocutore delirante, sempre in modo ossequioso. In caso contrario, questo porterà comunque a farvi cambiare lavoro, ma senza lettera di referenze.

sabato 6 luglio 2013

Le nuove malattie professionali _ Il contorsionismo degli intestini dei precari

Questa patologia colpisce statisticamente in maggior misura le donne e in particolare quelle più giovani. Ma essendo la statistica mera analisi quantitativa, in questo studio non terremo in considerazione questo dato, sottolineando invece il dato di fatto che rappresenta una casistica ben distribuita per variabili di sesso, meno in quella di età (giovani e diversamente giovani), abbastanza bene in tutti i settori professionali e tecnici*, se il dato di fatto è incrociato col dato di contratto.

La modificazione dell'anatomia degli intestini ha inizio, in generale, in modo latente e si manifesta tardivamente con spasmi diffusi ma concentrici, direzionati nello specifico verso il centro dell'ansia, che come sappiamo abita appunto nelle viscere. Risvegliata dalla precarietà del lavoratore post-moderno, dall'assenza quasi totale di punti fermi di riferimento, l'ansia tende a spostarsi vagando disorientata nelle strade delle umane feci, ingarbugliandone le vie fino a creare nodi, nocche e ghirigori.

L'affetto da contorcimento degli intestini tende ad assumere una posizione a conchiglia-a-doppia-valva o a verme-che-si-arrotola-quando-lo-tocchi, chiudendosi quindi su se stesso. Quando cerca di assumere la posizione dell'homo erectus, non ci riesce a causa dei nodi di cui sopra e si richiude a molla dopo aver emesso dei versi cupi e sordi, partiti dalla bocca dell'ansia.

Normalmente, chi ne è affetto è spesso irritabile come il suo intestino, gonfio come la pasta madre quando attaccata dai lieviti, e spento sia fuori che dentro. Quando, invece, accende il cervello, impostato spesso nel malato di precarietà sulla modalità vittimismo-persecuzione-depressione, il problema tende molto lentamente a risolversi. L'attivismo, il coraggio delle decisioni e dei no, la conoscenza dei diritti del lavoratore e altro carburante per le sinapsi, infatti, dà all'ansia una direzione: quella del cesso.


* In seguito analizzeremo invece alcune malattie professionali specifiche.