giovedì 19 maggio 2011

Chi ama di più il paese?

Chi ha rabbia accecante e repressa da anni ed esplode in pianti di gioia.
Chi il paese lo ha tenuto per anni e, ora, esplode in pianti di rabbia e tristezza.
Chi insinua un alito di malizia e cattiveria nell'interpretazione delle parole di chi non lo sostiene da suddito o servitore ma lo affronta criticamente.
Chi tifa ciecamente per la sua "squadra" come se si trattasse di calcio, difendendola anche di fronte ad evidenti autogol, giustificando falli sconcertanti, mentendo di fronte ad evidenti fuorigioco o falli di mano.
Chi dichiara il popolo sovrano solo se lo elegge, caprone o credulone se coi suoi voti premia qualcun'altro.
Chi è "permeabile" a tutto, perché tutto va bene, tutto è uguale di fronte all'urgenza di un obiettivo così ambito.
Chi candida manichini, applauditori professionisti, urlatori, incompetenti, in modo così evidente da poter mentire, da poter offrire un'altra interpretazione, da poter prendere in giro la nostra intelligenza.
Chi candida persone competenti, umili, convinte che la politica sia mettersi al servizio, che l'ambizione personale non possa prevalere sull'obiettivo del benessere generale, circondate però dalle persone di cui sopra.
Chi è arrogante, chi etichetta, chi tratta con riserva, chi odia a priori, chi si vendica, chi ignora, chi usa, chi abusa.
Chi si riempie la bocca di parole pregne di significato, piegandole però ai suoi personali interessi, alla bassa tifoseria, alla cieca rabbia, alla volontaria servitù: parole prese e lasciate, dimenticate, rigirate, svuotate.
Chi è leale.
Chi è sleale.
Chi è ipocrita.
Chi è sincero.

Chi ama più il paese?

La verità, purtroppo, è che ognuno dei gruppi che si è presentato era composto da quasi ognuna delle categorie elencate sopra. E ognuno dei suoi componenti amava e odiava.
Amava il paese, a modo suo, e odiava l'altro gruppo, a modo suo.
La domanda non è, quindi, chi ama di più.
Per me la domanda è chi fa prevalere il sentimento di amore su quello di odio.

Amare il paese vuol dire amare ogni cittadino e cittadina, inclusi coloro che si odiano.

Può un interesse più grande e allargato superare il proprio interesse?
Può il rispetto per l'intelligenza di chi si rappresenta portare all'impermeabilità, al riconoscimento, al rispetto e alla valorizzazione degli ideali, delle differenze, del pensiero divergente?
Può un obiettivo "impersonale", collettivo, accompagnare verso una responsabilità delle proprie scelte, del proprio ruolo?
Può quell'amore per il paese, concetto così abusato, essere la cifra del futuro, della costruzione di una democrazia, anche se nel piccolo di un paesello, ad un impegno di tutti nella tutela degli interessi di tutti?

Può vincere il paese?

Io mi auguro di sì.
In questo momento di enorme cambiamento a livello nazionale, nel quale si sta affacciando nuovamente la sinistra, una sinistra palesemente coraggiosamente consapevolmente e responsabilmente sinistra, anche nel nostro piccolo stiamo vivendo un cambiamento.
Il voto di questo fine settimana ha stabilito il tramonto di una amministrazione e ha fatto emergere anche la voglia di una svolta, di una innovazione, di fiducia allargata, di novità.
Quello che aspettiamo è di capire se questo voto abbia stabilito, oltre al tramonto, anche un'alba.
Per capirlo è necessario che si lavori. Lavorare insieme, con coerenza, con stabilità, con umiltà e con coraggio, superando gli odi personali e ideologici che hanno segnato queste ultime settimane, anche internamente ai gruppi.
E questo è l'invito che io faccio alla nuova amministrazione e all'opposizione.
Perché l'alba può esserci solo nella costruzione collaborativa e dialogica di una democrazia.
Una democrazia nei e dei fatti.

lunedì 16 maggio 2011

Votate responsabilmente

"Sabina ..., nata a ... il ..., può votare. Si accomodi nella cabina 1".
La giovane donna che pare avermi riconosciuta anche se io non conoscevo affatto, come le altre persone astanti, mi fornisce matita e scheda elettorale.
Incombe al centro dell'aula della scuola media il cubo di cartone bianco, con la sua femminea fessura.
Lo aggiro e mi avvicino alla cabina. Tenda bianca. Luce fioca.
Le mie pupille si allargano. Le mani stringono.
Un momento per riassestare il corpo nel nuovo ambiente finto-asettico e impersonale.
Abbasso gli occhi ormai normo-senzienti e li lascio appoggiati sul banchetto.
Interpongo la scheda elettorale ancora chiusa tra la superficie di legno lucido e la proiezione sulla retina. Non mi do il tempo di leggere quanto scritto sul lato esterno 'che la apro immediatamente.
Davanti a me un foglio piegato in quattro colonne, di cui solo la prima, a sinistra, macchiata dai colori delle liste del mio paese. Tre liste, tre macchie: una blu, una rossa, una verde.
Il resto del foglio completamente libero.

"Sabi pensa, non essere impulsiva, Sabi pensa" e Sabina ha pensato.
Ha pensato alla proporzione quasi perfetta tra quelle tre liste e il resto della scheda, tra quelle macchie, dei non-segni perché svuotati di significato, e tutto quello che c'era intorno e le conteneva.
"Dove mi colloco io?", mi son chiesta. Ed io non ero in nessuno di quei non-segni. Io non ero in nessuno di quei tre nomi. Io ero altrove ed ero vera e pulsante. Io credevo in qualcosa di diverso. Io credevo di poter agire su quello che il resto della pagina rappresentava e di poterlo fare molto meglio di quanto pensassi io stessa.

"Sabi rifletti, non lasciar parlare l'utopia, Sabi rifletti" e Sabina ha riflettuto.
L'utopia è la mia spinta, l'orizzonte del mio passo. Senza credere di poter dare un contributo migliorativo al mondo, la mia esistenza sarebbe vana. Senza credere di poterlo fare riempiendo di significato i segni, le parole, le azioni, mi prenderei solo in giro. Senza credere di poter agire senza il faro delle mie idee, dei miei ideali, dei miei valori, barcollerei nel buio, come quando ho messo piede in questa cabina.

"Sabi hai scelto, non temporeggiare".
La fedeltà a me stessa, in quello che credo, è la forza della mia mano che muove la matita. La scritta "Ministero bla bla bla" la leggo appena e mi dà ancora più energia mentre contribuisco a decidere con la mia scelta il futuro mio e del mio paese. Mentre contribuisco a decidere del mio Paese.
"Io non scelgo il meno peggio" mi son detta, "La prossima volta ci sarò anche io in quel foglio."

La matita sul legno. Il foglio si ripiega quasi da sé.
Un passo indietro, riesco alla luce, alla vita, alla parte del foglio di cui faccio parte.
Lascio un po' di utopia, come un alone, nella cabina e mi giro.
Mi chiedo, solo uscendo, cosa ho colto di quanto lasciato da chi mi ha preceduta... cosa c'era nella cabina finto-asettica che mi sto lasciando alle spalle.
Intanto il cubo mi attende, mi accoglie, fagocita la mia scelta in mezzo alle altre scelte.
Domani sapremo di questo paese e di questo Paese.

Intanto mi son fatta coraggio.
Ho votato responsabilmente.

venerdì 13 maggio 2011

La grande amMOGGHIAta

L'aria è tesa e vibra in modo sinistro al più piccolo movimento.

Ore 18.00
Gli ultras sono già pronti da tempo nei loro angoli: preparano cori, fumogeni, torce e trombe da stadio. Il tamburo è silente, ma trema delle tensioni dell'aria. Ogni ultrà ha immagazzinato rabbia raccogliendola sul posto di lavoro, a casa, nel traffico, coi figli, sulle scale del condominio. La batteria del loro stomaco è rigonfia e pronta all'uso, ipersensibile al segnale prestabilito.
Ogni gruppo occupa un posto assegnato nei dintorni dell'arena, così che gli ultras non si incontrino prima dell'inizio della gara, così che le loro energie non si disperdano in tafferugli prematuri, così che la loro batteria non scambi le vibrazioni nervose per il segnale.
Intanto giungono anche gli altri tifosi e qualche spettatore simpatizzante. Si dispongono in ordine sparso, non troppo vicini agli ultras, non troppo vicini ai gruppi rivali, non troppo davanti, nemmeno troppo dietro, forse nemmeno al centro. I tifosi si muovono, 'che non sanno bene dove mettersi per non dare fastidio a nessuno e per accontentare la squadra e, soprattutto, non scontentare gli ultras.

Ore 18.15
Intorno all'arena l'aria è bollente: sguardi di fuoco trafitti dal suono intollerabile ma tollerato delle trombe da stadio. I tamburi si riscaldano percossi lievemente, come gli ultras, che si sciolgono i muscoli del collo e delle braccia, senza mai decontrarre i muscoli dello stomaco contenente la batteria di rabbia.

Ore 18.23
Fanno il loro ingresso le squadre. Sono tre, anzi due e mezzo, giacché una è stata messa su con le riserve e qualche giocatore improvvisato per fare la triangolare, sennò il campionato non era valido.
Anche i giocatori sono rabbiosi: batterie cariche con tanto di incameratori aggiuntivi di rabbia marginale e sistema di sicurezza per far esplodere l'energia raccolta solo al segnale corretto e per ottimizzarne l'uso.
Gli sfidanti si guardano in cagnesco, soprattutto quelli delle due squadre principali.
Gli ultras si guardano in cagnesco, ovviamente in particolare quelli delle due squadre principali.
I tifosi fingono di guardarsi in cagnesco, per adeguarsi e non dar fastidio a nessuno.
L'aria spumeggia rabbia cagnesca. Le pelli dei tamburi si bagnano e ad ogni tocco schizzano sputi di schiuma bianca e nauseabonda. Gli ultras ne sono ricoperti in tutti i loro angoli.

Ore 18.29
La gara sta per cominciare. Le squadre entrano nell'arena. L'aria è rigonfia, carica e pesante. Si respira appena e gli sfidanti sono in deficit di ossigeno prima ancora di iniziare. Le sinapsi lampeggiano. Sta per arrivare il segnale per le batterie di rabbia.


Ore 18.31
L'arena è una grande ammogghiata.
Allo scoccare dell'ora esatta è arrivato il segnale per squadre ed ultras. La tensione in uscita mal regolata ha prodotto un disordinato deflagrare delle energie rabbiose dallo stomaco alla bocca. Ecco che, in un solo minuto, l'arena è completamente ricoperta di mogghia.
mogghia sui balconi
mogghia sugli spalti
mogghia sui lampioni
mogghia sulle bandiere
mogghia sui tricolori e sui colori mascheranti
mogghia nell'acqua della fontana
mogghia dai getti della fontana
mogghia che schizza dai tamburi battenti ma sordi
mogghia che cola dagli imbuti delle trombe
mogghia sulla schiuma degli ultras
mogghia sulle cravatte degli sfidanti
mogghia sulle spalle degli spettatori simpatizzanti
mogghia sulle teste dei vili astanti
mogghia sulle scarpe dei giovani eleganti
mogghia nei pensieri dei politicanti
La mogghia continua a fuoriuscire con aria di sfida dalle bocce spalancate dei personaggi delle squadre. L'energia accumulata e mal gestita ha rese invane le prove allo specchio dei baldi sfidanti. Ore a guardarsi sputacchiare mogghia, per poi vomitarla con forza da posseduti.
Ma il gioco è iniziato, ormai non si torna indietro e la mogghia invade ogni interstizio tra cervello, stomaco e cuore. Parla di odio, parla di rabbia, parla di frustrazioni, parla di piccolezze.

Ore 18.36
L'ammogghiata continua. Una delle due squadre principali urla mogghia, sputa getti di forza inaudita, quantitativamente è superiore. Ma l'altra squadra, imbattuta da tempo, strategica più che tattica, è qualitativamente superiore e i suoi getti di mogghia, anziché disperdersi a ventaglio, vanno dritti al centro. Tanto strategici da mandare piccoli mogghiatori in giro per le strade e per le case, a distribuire piccole porzioni di mogghia ben calibrata, tanto da sembrare altro. Subito imitati dai rivali.

Ore 18.39
Mentre gli sfidanti continuano nella loro ammogghiata, sotto all'arena gli ultras si agitano disarticolati, come il loro pensiero. Non esiste pensiero, in realtà, tanto la mogghia lo ha appesantito. Scivolano su questo strato melmoso come se fosse il loro habitat naturale, si rotolano e si animano, fanatici della mogghia ad ogni livello.
Alcuni astanti si adeguano, qualcuno cerca riparo, qualcuno se ne va vomitando un po' mogghia un po' bile. E anche un po' il suo pensare che muove i suoi piedi verso il pulito.
E nel pulito incontra chi con la mogghia si scontra.
Chi la odia e la aborre, come questo gioco insensato dell'ammogghiata. Ormai ha fatto fortuna tra le vie di questo centro, rivaleggiando con la mogghia sputata in diretta in tv, tra sfidanti di livello superiore che le squadrette di qui guardano con tanta ammirazione.

Ore 18.45
L'ammogghiata continua, sull'arena e ai suoi piedi dove gli ultras non hanno più il senso di se stessi. Sono un corpo unico e dipendente, che si muove in sintonia con le scariche di mogghia superiore.
L'ammogghiata continua, non solo nell'arena e intorno ad essa. Mogghiano anche i mogghiatori tra le vie, i mogghiatori tra le gente, i mogghiatori tra le parole e le idee.

Ore 18.57
L'ammogghiata continua, ma molti astanti hanno lasciato i dintorni dell'arena. La mogghia dalle scarpe staccandosi ha lasciato scie di liberazione sulle pietre bianche. Perfino l'asfalto le ha accolte. Ma ricordando che ogni ambiente raccoglie fino al limite fisiologico. Ricordando che la mogghia se non si esaurisce manda in crisi il sistema.


Ore 18.59
L'ammogghiata continua, mentre lontani dall'arena i cittadini e le cittadine vengono a conoscenza dell'ondata di mogghia scatenata più in là.
La cittadinanza supera di numero gli ammogghiati e d'intelletto molti di essi.
La cittadinanza s'indigna e sta lontana dalla mogghia, ci prova, anche se gli schizzi e i piccoli mogghiatori portano la mogghia ovunque.
La cittadinanza è ancora silente, ma attende il giorno della grande finale, quando, paletti alla mano, voteranno le performance di questi sfidanti.
Nella speranza che l'ambiente assorba abbastanza mogghia da concedere a queste persone la deambulazione. Perché a loro sguazzare nella mogghia non piace proprio.

giovedì 5 maggio 2011

I frutti buoni della malerba

Ieri una persona legata alla sezione di Carosino di Sinistra Ecologia e Libertà ha rivelato ad un mio stretto congiunto che forse il mio attacco è così strenuo e costante perché nel suo gruppo vi è un uomo che ho amato.

L’interlocutore ha risposto, conoscendomi bene, che io mi sento sempre libera di esprimere il mio dissenso davanti a quello che proprio non va, allo scopo di contribuire alla sua evoluzione e indipendentemente dagli individui coinvolti.


Questo è il punto.
L’amore.

Il mio congiunto ha saputo in poche parole rispondere al meglio a quella che è un’ipotesi che può togliere forza, legittimazione e valore ad un impegno, seppur piccolo, per il mio paese.

Un’ipotesi che, naturalmente, avranno elaborato in molti, ma che non trova terreno nei contenuti del mio dire, scrivere, fare: essi sono indisponibili a certi venti di parole, a certe piogge scure, a certi umori pesanti. E dal mio blog è possibile verificarlo.

Le mie parole che suonano come accuse violente sono solo evidenze, non invento nulla, scrivo ciò che è sotto gli occhi di tutti o di cui ho avuto esperienza diretta, tant’è che in molti hanno commentato che “non si tratta di nulla di nuovo”, come se una cosa avesse valore solo nel suo essere originale, come se palesare il volutamente sommerso non avesse valore, come se “mettersi sulla bocca di un paese” semplicemente esprimendosi sia come niente.


Questo è il punto.
L’amore può portare a “mettersi sulla bocca di un paese”?

Sì, l’amore può, l’amore è vasto, l’amore ci supera nelle nostre piccolezza, soprattutto se non si tratta dell’amore per una persona, ma per seimilaseicentocinquantanove persone, per la terra che ha dato a noi tutti il nome e l’origine e l’ossigeno e le possibilità, anche se poche.

E allora forse quella persona che pensava che io fossi mossa da amore si sbagliava ma di poco. Sono mossa da amore ma per il mio paese da un lato, per il progetto di un partito che era in linea con i miei pensieri e da cui finalmente mi sentivo rappresentata dall’altro. Questo amore è quello che invisibilmente unisce molti di noi, ma solo se non viene dopo l’amore per se stessi.

Il mio blog si chiama Singolare e collettivo proprio per questo. La mia pienezza di cittadina si compie nella misura in cui contribuisco alla crescita e al benessere della collettività che poi (sottolineo poi) diventa anche il mio di benessere.


Questo è il punto.
L’amore per gli altri diventa amore per se stessi.

E non viceversa, secondo me. Parliamo di politica e per me la politica è questo: fare il bene della collettività. Se questo passa attraverso la lotta, il sacrificio, il fango, il sentirsi dire alle spalle di tutto, il diventare il capro espiatorio di cose sulle quali non ho alcuna influenza, l’essere letta e interpretata con una punta di malizia, il ricevere “attestati di odio” e avvertimenti, il veder minimizzare il mio impegno riferendolo ad una relazione finita, che sia. Non mi spaventa.


Questo è il punto.
L’amore come questione personale?

L’amore è una questione personale.

L’amore è politica nel momento in cui è rivolta ad un territorio, ad una sua visione futura, alla comunità.

La politica è quindi una questione personale. Una questione personale che va oltre i personalismi, proprio perché etero-diretta: diretta verso l’altro, verso una pluralità, verso qualcosa che ci supera in termini di spazio e tempo. E NON VERSO SE STESSI E I PROPRI INTERESSI.

La forza oppositiva del mio agire è dettata da questo: il fatto che le scelte dei politici abbiano una influenza sulla mia felicità, sulla qualità della mia vita, sulla quotidianità della mia famiglia e dei miei amici, sulle possibilità che la mia terra mi offre, inclusa quella di poter tornare. Il fatto che, proprio per questo, i politici debbano esprimere i miei bisogni e trovarne soluzioni, il fatto che debbano fare i miei interessi e contribuire alle possibilità che avrò nel futuro. Il fatto che, perché questo sia possibile, io senta dentro di me il dovere morale di dire quello che penso, di far emergere le mie esigenze, di esprimere il mio pensiero, di darmi voce, DI FARMI RAPPRESENTARE.


Questo è il punto.
L’amore nei miei confronti.

I politici per fare i miei interessi devono amarmi [me come ogni altr@ Carosinese]. Devono fare il mio bene e per farlo devono conoscermi, ascoltarmi, farsi miei portavoce e non portavoce di se stessi. I politici devono scendere dal loro piedistallo e comprendere che il loro lavoro sta nel mettersi al nostro servizio, migliorare la nostra vita, fare il nostro bene.

Io voglio che sia il SEL a rappresentarmi perché il suo progetto parla di me, mi capisce e mi convince, mi ama.

Io voglio che anche il SEL di Carosino mi ami, che i candidati di SEL Carosino mi amino, voglio che la persona che è andata a parlare con il mio congiunto mi ami…

Ed è per questo che la mia forza contestatrice, polemica e critica si scaglia in misura maggiore verso questo partito: perché voglio che mi rappresenti sempre, che rappresenti il meglio ovunque, soprattutto laddove io vorrei dare il mio contributo. E, ad ora, il SEL di Carosino non mi rappresenta.


Per cui non struggetevi nell’odio per me. Perché io non vi odio.

Per cui non combattetemi con la forza. Perché io so femmna di nerbo.

Per cui non interpretate il mio impegno con superficiali ipotesi. Perché io non sono in superficie. Io sono dentro. Perché quella che sembra malerba può portare frutti buoni.


E che sia con o senza di voi, porterò lo stesso i miei piccoli modesti frutti.
Ma buoni.