domenica 13 febbraio 2011

Se non ora quando- 13 febbraio 2011 - Carosino

Non è facile mettere giù due righe su questioni tanto delicate e complesse, e frequentemente strumentalizzate, come questa. Sono ore che guardo la pagina bianca e penso, e poi mi lascio distrarre dal gatto che grunisce, poi dal rumore di clacson. Poi sospendo del tutto per non perdermi la diretta da piazza Tahrir.

Ma quest'ultima distrazione, se così vogliamo definirla, mi aiuta ancora a riflettere... perché mentre in Italia, un Paese che si dice libero e democratico, si parla di prostituzione in politica e di dignità della persona, in Egitto la popolazione riesce a fare la storia, anche perdendo la vita in nome della libertà e della legalità.

E noi? Noi che stiamo facendo per cambiare la nostra storia? Cosa potremmo fare? Ma, soprattutto, ci riteniamo capaci di cambiare la storia del nostro Paese?

Beh, vi svelo un segreto: che ci crediamo o no, sì, ne siamo capaci. Siamo in grado di farlo.

Viviamo in un momento storico in cui siamo privati di ogni certezza, in cui ci richiudiamo nel nostro individualismo, nella nostra piccola storia, di cui a stento riusciamo a tenere le fila, e tutto quello che sta fuori sembra remoto, alieno, sembra riguardare altre persone.

Invece no!

Riguarda noi.

Anche oggi, questa piccola piazza è una piazza importante e si fa qualcosa di storico per Carosino, perché chi oggi si è messo in gioco e ha deciso di dire la sua non ha fatto altro che percorrere la strada meno semplice, non sta parlando senza riflettere ma usando la propria testa e la propria capacità critica, ha smesso di nascondersi dietro ai luoghi comuni che ci vengono propinati dalla televisione, come “Nessuno le ha costrette. L'hanno voluto loro. La prostituzione esiste da sempre.” oppure ancora “Avete voluto la liberalizzazione sessuale voi femministe, beh questo è il risultato! Cosa pretendete ora?”.

Questa è una semplificazione estrema della realtà: non si può dividere le donne in buone e cattive, non si può dividerle in sante e prostitute, includendo nella prima categoria solo mamma e, forse, moglie/fidanzata e, se proprio la si stima, la sorella, ma solo se sono di quelle che stanno al loro posto e parlano poco.

Beh, vi dico che io non sono né santa né puttana, e soprattutto non ho paura di dire la mia, né di dimostrare che dietro alla faccina carina c'è un bel cervello. Quello che voglio dire, in sintesi, è che non esiste un solo modello che rappresenti la donna. Non esiste solo il modello che ci viene continuamente presentato. Io non sono rappresentata da quel modello: un modello che vede la donna vendere il suo corpo, o esibirlo come sua unica dote, o prestarlo alla vanità di un uomo.

Io non sono rappresentata da questo modello mediatico e spettacolarizzato: non ho le mennone, e non mi scandalizzo per la parola “menne”, mentre mi scandalizzo quando sento dire che gli studenti che protestano vengono dai centri sociali o sono delinquenti (quando la protesta è segno di democrazia e soprattutto di intelligente manifestazione del proprio pensiero in un Paese in cui i media sono di proprietà di un unico gruppo, anzi persona), non ho il culo di Belen o di Ruby e francamente me ne infischio, non ho gli occhi di gatto né i capelli da diva, non sono alta e non sono snella e, soprattutto, non mi interessa affatto, soprattutto nei contesti lavorativi, politici e relazionali.

Quello che mi interessa è che ad accorgersi delle mie capacità non siano solo altre donne (è un caso che io abbia lavorato solo per persone di sesso femminile?), voglio che gli uomini non si spaventino per il mio modo di essere critica, responsabile, precisa e determinata, voglio che non si accontentino di valutare la mia idoneità a qualcosa da come mi vesto, da che corpo ho o dall'accento che colora il mio parlato, voglio che mi si dia ciò che merito senza che mi si dica che per fare certe cose e arrivare a certi livelli di prestigio devo scendere a compromessi o avere “santi in paradiso”.

Mi spiace, ma questo modello di compra-vendita di tutto, come se fossimo merce, non mi rappresenta: non scendo a compromessi e, fortunatamente, quelli che sono i miei santi hanno i piedi per terra come me.

Io non mi arrendo all'idea mercantile dei rapporti umani che ci è stata proposta ripetutamente, come un mantra satinato dallo schermo dello spettacolo. Io non mi arrendo alla cultura del mercato che ha finito per diventare la ratio anche del mondo della politica, deformando i rapporti di potere e mischiandoli col sesso, il sessismo e il machismo.

Io non mi arrendo.

Io voglio poter decidere di mettere al mondo un altro essere vivente senza rischiare il mio lavoro, voglio poter ambire e arrivare a fare il lavoro che valorizzi le mie capacità e non scegliere il primo che riesco a trovare, voglio poter lavorare nella città in cui voglio vivere e non lasciare al mercato del lavoro la decisione su quella che chiamerò casa e sulla distanza che mi dividerà dalle persone che amo.

Voglio permettermi di soddisfare i miei bisogni affettivi e che se ne riconosca l'importanza fondamentale per la felicità di un uomo e di una donna.

Voglio che alla mia cuginetta di quattro anni questa società proponga altri modelli oltre a quelli della velina e della starlette a luci rosse perché lei possa scegliere consapevolmente quando sarà adulta.

Voglio poter parlare con un uomo di politica senza che mi zittisca o annuisca senza ascoltarmi o mi sorrida intenerito per il mio tentativo. Voglio poter parlare di meritocrazia e di legalità nel lavoro e nella politica senza essere etichettata da idealista, voglio potermi dire anti-fascista senza che mi si etichetti come comunista, voglio poter manifestare le mie idee sul sessismo senza che mi si applichi l'etichetta da femminista. Non voglio addosso alcuna etichetta che impoverisca il mio essere al mondo.

Voglio che il mio sesso non incida sul mio stipendio e, ancora prima, sulla scelta tra candidati ad un posto di lavoro o ad un ruolo di responsabilità.

Voglio che la mia identità sia unica e indisponibile e non voglio essere riconsciuta come figlia di, moglie di, madre di.

Voglio che certi uomini smettano di usare il corpo delle donne per loro vanità o per godimento, e parlo anche a quegli uomini che commentano dell'avvenenza o della bruttezza di una donna che fa la giornalista, o il magistrato, o il medico, o il politico, professioni per cui l'aspetto estetico è l'ultimo degli elementi da valutare.

Voglio decidere io da chi farmi toccare le tette e perché.

Voglio il ruolo che merito di ricoprire in questa società e voglio che questa società dia spazio a quei modelli che mi rappresentano di più e che, pur esistendo già, sono sottovalutati e sottorappresentati.

Voglio, e lo urlo, che si smetta di dare un prezzo alle persone e che si ritrovi la capacità critica e di analisi necessaria a riconoscerne non il prezzo ma il valore.


Una donna.


Foto © Flaccidia - flick - sito