martedì 19 aprile 2011

La primavera se ne frega

La gazza saltellava attenta tra i rami di grano nascente, attirata dal bagliore irregolare di un cilindro di vetro mosso dal vento. Il suo sguardo immobile nella testa appuntita e irrequieta era alla ricerca di materiale da recupero per la costruzione del nido, ma per un istante lungo un'immensità riuscì a vedere solo la bottiglia ondeggiare e scoprire ai suoi occhi ignari la terra abusata e umiliata sotto alla rinascita primaverile.

Il vento accarezzava piano le piume della gazza e, un poco più sopra, la forza della natura, spandendo polveri gialle e verdi sull'asfalto vicino, portando via i rami secchi fino al centro della strada e spazzando piccoli rettangoli di carta spiegazzati e marci quasi fino a casa di Elvis.

La gazza saltellando raccolse qualche rametto per poi prendere il volo verso il suo nido futuro: sistemò il materiale con precisione e cura, attorcigliando fittamente la ramaglia e il fogliame morto nel fondo di quella che sarebbe diventata una piccola mezza sfera cava.

La gazza riprese il volo, più lungamente, portandosi dalla periferia del paese alla piazza in festa. Era la controra e lo stomaco della cittadina taceva in un ruminare nascosto, tra pareti e soffitti, televisioni accese e discorsi sospesi.

Il vento accompagnò la gazza fino al balcone del palazzo ducale. Si guardò intorno con scatti precisi alla ricerca di qualche pezzo interessante per la sua opera ingegneristica.

Anche in questo il vento la aiutò. Altri piccoli rettangoli di carta colorata rimbalzavano tra le pietre lisce e il bordo del marciapiedi, disegnando volute di tramontana e spettacoli di danza estemporanea che nessuno spettatore aveva ancora visto, a parte la gazza.

Planando con grazia, si appollaiò vicino la sede de “La Crasta” e cominciò a raccogliere quei quadratini volanti. Ne imbeccò qualcuno, tra quelli più sfatti dall'azione dell'aria e dell'acqua, ma anche dell'essere umano che ne aveva piegato bordi, arrotolato il corpo, strappato gli angoli.

Quando comprese di non poterne raccogliere altri, riprese il volo indisturbata, nella calma del sole d'aprile e si portò verso l'intreccio di foglie e rametti che sarebbe stata a breve la sua nuova casa carosinese. Collocò i pezzi di carta più grandi nel mezzo, quasi a sovrapporre innumerevoli strati di un materasso dove poter deporre morbidamente le sue uova.

Fu così che in uno dei piccoli cuori pulsanti della primavera apperve il volto del signor Chiloiro. Vicino a lui, quello del signor Leuzzi che però fu meno fortunato: forse per via dei colori accesi la gazza ladra gli rifiutò il posto d'onore al centro del nido, spezzettandolo e relegandolo alle fessure aperte della struttura. Il signor Leuzzi fu collante e isolante, il signor Chiloiro tappeto e pavimento. Tra i rametti apparve anche qualche traccia del signor Sapio, senza volto, ma evocativo del cielo, a far da facilitatore ai pulcini prima di prendere il volo.

La gazza tornò più volte in piazza, raccolse qualche briciola per se stessa, un po' di filo dalla copertura della fontana, ma soprattutto altri rettangolini di carta, che ogni volta e in abbondanza trovava arrotolarsi in capovolte leggere sulle pietre chiare e spesso anche per le strade ad allietare gatti e cani randagi, annoiati e abbrustoliti al nuovo sole.

La gazza, naturalmente, continuava a preferire la piazza, nella quale Cataldo era guardiano e compagno, mai una minaccia. E continuava a preferire la controra perché trovava gli esseri umani meno chiassosi a quell'ora, se non del tutto assenti, perché alle persone che circondavano quei tre uomini appesi agli edifici della piazza, così divise tra loro, borbottanti, infelici e fintamente festose, a queste persone la gazza preferiva quei tre individui che convivevano da tempo e in perfetta armonia in casa sua insieme ai nomi di una pluralità di candidati, perché a quella piazza tesa e non accogliente, vuota e gremita preferiva la primavera.

La gazza tornò spesso in quella piazza sventolante, sempre alla controra, finché non ebbe finito il nido.

Nacquero i suoi pulcini.

L'ultimo nato morì presto.

Gli altri furono svezzati con vermi e semi.

La loro vita andò avanti nonostante Carosino.

Perché in fondo la primavera sboccia comunque.

Perché in fondo del mormorio degli uomini la primavera se ne frega.



Dettaglio foto "Carosino via Fieramosca" © BLove

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