domenica 20 maggio 2012

Piazza Pantheon e la strage di Brindisi

Mi sono avvicinata a Piazza Pantheon, ieri, con fare preoccupato e cautela sospetta di chi ne ha viste di manifestazioni e mobilitazioni a Roma, troppe delle quali fini a se stesse. Davanti ad un evento, come la strage di Brindisi che tocca dritto alle interiora, che produce emozione, ansia, angoscia, immedesimazione nelle famiglie, nelle studentesse, nella cittadinanza di Brindisi... è facile semplificare, forsanche mistificare.

Eppure la serie degli immediati commenti del mondo istituzionale mi ha colpita profondamente, mutando anche il mio primissimo orientamento concentrato sulla SCU (Sacra Corona Unita) brindisina, sulle mafie "locali", sulle mafie, sulla criminalità "piccola"... e facendomi pensare a ben altro.

Napolitano
...barbaro attentato... appello alla vigilanza e al fermo e concorde contrasto nei confronti di ogni focolaio di violenza eversiva...
Monti
"Il governo intende avere la più grande fermezza e determinazione contro ogni tipo di criminalità e opera perchè il paese sia più che mai unito in questi momenti"
Profumo
Lo Stato deve dimostrare in queste occasioni la sua presenza e mandare un messaggio e un segnale di vicinanza a tutto il mondo della scuola.

Allora, mentre a Brindisi in piazza si alternano bellissimi interventi sulla lotta alla criminalità che dovrebbe essere quotidiana, sul non attendere le stragi per lottare la violenza e la paura cominciando dalla scuola, sull'interessarsi sempre di luoghi spesso abbandonati a se stessi come Brindisi, di non abbandonare a se stessi questi luoghi... cose che leggo come richiesta di vicinanza delle istituzioni... io cosa mi aspetto andando a piazza Pantheon?
Temo esattamente quello di cui sopra: che la "società civile" ora risvegliatasi, che le figure istituzionali assenti e non più rappresentative e il mondo sindacale incapace o forse non interessato a tutelare il mondo del lavoro sempre più privato di diritti e dignità (per l'occasione tutti riuniti a Brindisi per sfruttare la visibilità del momento), che questo potpourri di umanità organizzi manifestazioni, fiaccolate, sit-in, eventi che non parlano solo di indignazione, ma che parlino anche di necessità di favorire l'unione del Paese (inteso come cittadinanza e stato) contro gli autori del gesto, contro la criminalità, contro l'anti-stato, sancendo un nuovo riconoscimento nello stato stesso.

E allora penso alle dichiarazioni dei governanti, quelle sopra e quelle dei giorni scorsi, in cui la preoccupazione del Paese era arginare i no-tav o i centri sociali o i manifestanti o i nemici di Equitalia (che è lo stato e quindi è cosa buona) o chi ha espresso il disagio in questi mesi di costante ingiustizia sociale.

E allora mi aspetto questo dalla piazza di Roma, mi aspetto che il disagio profondo dell'Italia sia soffocato dalla paura di un nemico "esterno", dalla necessità di sentirsi protetti, dalla richiesta della presenza di uno Stato, di una legge, dalla giusta ondata di emozioni che una strage può portare insieme a interpretazioni di portata locale, territoriale e di breve periodo. Avvicinandomi a Piazza Pantheon temo che l'evento non sia ricondotto all'interno dell'odioso calderone degli enormi problemi del Paese...

Ma fortunatamente così non è stato, almeno ascoltando gli interventi e le reazioni di chi ascoltava e interagiva. Almeno secondo quanto è riuscita a riuscita a trascrivere la mia mano.

"Che poi, se si è fisionomisti, le persone le riconosci quasi subito, te ne accorgi che, alla fine, il nucleo forte di certe manifestazioni a Roma è costituito da un gruppo relativamente piccolo di persone. Se si pensa a quant'è grande Roma...
Non li conosco, ma li riconosco e mi piace vederli, mi piace vedere le loro facce, mi piace sentire le loro parole, mi piace notare le loro mani libere. 
Ma quello che mi è piaciuto tanto stasera è che una parte di questo piccolo nucleo ha chiamato un tipo, gli ha chiesto camioncino e amplificazione mobile che usa per lavoro, e insieme hanno messo a disposizione di tutti e tutte questo pseudo-palchetto e un microfono. 
E' stata una bella piazza oggi davanti al Pantheon. Una piazza in cui quella chiusura fittizia di una strategia politica che da anni tenta di separare e mettere la "cittadinanza" contro quelle "classi di nuovi capri-espiatori" che sono i centri sociali, l'associazionismo, i movimenti, i comitati, gli attivisti, ecco quella chiusura e separazione forzata e fatta credere si è dissolta. Si tratta di una contrapposizione dolorosa che forse i nostri padri e le nostre madri hanno già vissuto prima di noi e che oggi si è confrontata con la realtà di una città che invece ha dimostrato di non aver paura dell'attivismo, della partecipazione, del pensiero e della sua espressione.
E allora eccola l'Italia. Eccola l'Italia che parla di Melissa, di Veronica e della scuola Mordillo Falcone. Eccola l'Italia delle studentesse e degli studenti, romani e fuori-sede, dei padri e delle madri, di insegnanti, precari, partigiani, operai, laziali, pugliesi, meridionali, italiani e non italiani, cittadini e cittadine... Eccola l'Italia che urla "Basta!", che è stanca, che chiede giustizia, che non vuole si ripeta mai più un'offesa tanto grave. Eccola l'Italia che s'incorona d'alloro e di spine, che parla del meglio e del peggio, che pensa, che piange, che strilla, che parla delle donne e della loro importanza, del loro essere l'occasione di questo Paese per cambiare; dei giovani studenti e dei loro insegnanti precari; della politica che è questa piazza, che è oggi, che è ogni giorno con le nostre scelte, e dell'anti-politica che è sempre più chiusa nei palazzi del potere; del rapporto stato-mafia (con lo stato che è lontano mille miglia dalla gente); delle risposte che aspettiamo e che non siamo più disposti ad aspettare; delle verità che ci vengono nascoste e che pretendiamo; del sistema di cui non siamo più ingranaggi ma "vittime"; della mafia "piccola", della mafia "grande", della mafia dentro al tessuto della società, della nostra società, della mafia che è la società, della mafia dentro al potere, della mafia che è il potere; di quella mafia che è e si nutre di silenzio, di menefreghismo, di disillusione e di paura. Eccola l'Italia lucida nel disgusto di un attacco a quanto c'è di più intimo nella società civile. Eccola l'Italia che comprende come questo attentato stragista possa essere riportato ad una strategia che conosce, che ha vissuto, che rigetta, cui non si piega nemmeno questa volta. Eccola l'Italia che si mostra, che parla, che ha migliaia di volti e migliaia di voci, che non ha paura e che si rappresenta da sola. Eccola l'Italia che non si rifugia nei partiti, nei sindacati, nelle braccia spalancate di questo stato (putacaso) pronto ad accoglierlo e difenderlo ora da questo nemico fantasma, dopo averlo portato alla disperazione, alla fame, al suicidio. Eccola l'Italia che non vuole farsi soffocare, strangolare dalle strategie della tensione e del terrore. Eccola l'Italia ferita nel cuore del suo essere collettività, del suo essere famiglia, del suo essere futuro. Eccola.
E questa piazza, ora, con il sole tramontato, l'illuminazione aranciata, il chiacchiericcio fervente dei ragazzi e delle ragazze di daSud e di Libera che dalle fessure tra un sampietrino e l'altro sale fino a me, seduta tra le colonne del Pantheon, è tristemente bella, è tristemente e coraggiosamente bella. E' futuro. 
Deve comincia nuovamente una stagione, per riprenderci questo Paese.
Credo in questo tipo di piazze.
Credo nell'intelligenza degli Italiani e delle Italiane che vogliono vivere, che voglio emergere, che vogliono "ex-vertere", che si vogliono difendere dagli ordini "di importanza strategica e nazionale", fosse un buco pericoloso per la salute che porta soldi a certe cerchie ristrette, fosse il giro di vite sulle nostre vite per rispettare i dictat della finanza europea e mondiale.
Credo nel conflitto sociale, perché esprime il disagio, perché lo fa conoscere, perché è la strada per risolverlo.

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